Manifesto per la nuova Scuola

Manifesto per la nuova scuola*

*tra i firmatari Alessandro Barbero, Mauro Boarelli, Luciano Canfora, Mario Capasso, Ivano Dionigi, Chiara Frugoni, Carlo Ginzburg, Francesco Guccini, Edoardo Lombardi Vallauri, Vito Mancuso, Dacia Maraini, Ana Millan Gasca, Tomaso Montanari, Roberto Piumini, Filippomaria Pontani, Adriano Prosperi, Massimo Recalcati, Lucio Russo, Maria Michela Sassi, Salvatore Settis, Gustavo Zagrebelsky

1) La scuola come luogo della relazione umana e del rapporto intergenerazionale

La scuola si occupa delle persone in crescita, non di entità astratte scomponibili e riducibili a una serie di “competenze”. L’insegnamento e l’apprendimento toccano infatti tutte le dimensioni dell’essere umano – intellettuale, razionale, affettiva, emotiva, relazionale, corporea – tra loro interconnesse e inscindibili; bisogna sempre ricordare, in tal senso, che quello tra gli insegnanti e gli studenti è prima di tutto un rapporto umano.

L’idea che la scuola possa essere incentrata sulla semplice acquisizione di “competenze” è profondamente sbagliata, sia perché applica a un ambito, quello scolastico, categorie nate in tutt’altro ambito, quello cioè dell’azienda e della produttività lavorativa, sia perché esclude appunto la dimensione integralmente umana, centrale nella scuola e nei processi lunghi e non lineari dell’apprendimento e della crescita.

2) Per una scuola della conoscenza

Per svolgere il compito che le è affidata dalla Costituzione, la scuola pubblica deve essere incentrata sulla conoscenza, sul sapere, sul rispetto delle esigenze psico-fisiche di crescita dei giovanissimi. Solo attraverso il confronto con i contenuti culturali, la loro elaborazione e acquisizione – a partire da un’approfondita e reale alfabetizzazione – gli studenti potranno diventare cittadini liberi e consapevoli, in grado di contribuire a un autentico progresso della società. Senza l’istruzione delle nuove generazioni, la stessa democrazia è svuotata di sostanza.

3) Un giusto rapporto tra mezzi e fini

Se è vero che la scuola deve essere fondata sulla conoscenza e sul sapere, tutti gli strumenti e i metodi dell’insegnamento, compresi quelli legati all’uso delle tecnologie digitali, devono rimanere o ritornare a essere dei semplici mezzi, da utilizzare non a prescindere ma se e quando le necessità della condivisione dei contenuti culturali (che è continua attività dell’intelligenza, attualizzazione e rielaborazione critica delle conoscenze guidata dall’insegnante) lo richiedano. Vanno cioè evitati i deleteri rovesciamenti e le frequenti inversioni di priorità tra mezzi e fini che hanno caratterizzato il “didattichese” degli ultimi decenni – al punto che alcuni sembrano pensare che i mezzi siano essi stessi il contenuto della didattica – e va restituito il giusto posto alla libertà di insegnamento (spesso schiacciata e conculcata dall’imposizione di mode di scarsissimo valore didattico e culturale), nel segno di un’istruzione il più possibile ricca e plurale e della responsabilità educativa degli insegnanti. Bisogna ricordare come gli insegnanti siano degli intellettuali e dei professionisti, il cui compito non è quello di applicare burocraticamente e passivamente delle decisioni prese altrove, ma quello di trovare di volta in volta i mezzi più adatti per l’insegnamento. D’altra parte, non si capisce in che modo un insegnante ridotto a burocrate e certificatore potrebbe aiutare gli studenti ad acquisire un indispensabile senso critico di fronte alla realtà e ai contenuti culturali di cui via via essi si appropriano.

In qualunque ragionamento sui mezzi, non va poi dimenticato come l’uso sempre più pervasivo della tecnologia digitale – che il ricorso alla “didattica a distanza” ha reso preponderante anche a scuola, a discapito di ogni esigenza didattica ed educativa che richiedesse strumenti diversi – sia collegato ai disturbi da iperconnessione che colpiscono i giovanissimi, ai rischi del ritiro sociale, al senso di insicurezza, alla dipendenza dagli strumenti tecnologici, fino agli attacchi di panico, fenomeni che insorgono anche in conseguenza della mancanza di rapporti che è possibile vivere solo in presenza  e della negazione della dimensione fisico-corporea, la cui messa in gioco è fondamentale per le persone in crescita. In questo contesto andrebbe sempre ricordato che la relazione, le parole, i gesti e tutto ciò che passa nella comunicazione verbale e non verbale sono i primissimi strumenti degli insegnanti, gli unici davvero indispensabili.                        

4) Il mancato coinvolgimento degli insegnanti nelle “riforme” degli ultimi vent’anni

Poiché la scuola pubblica ha come finalità l’istruzione e la formazione umana e culturale delle persone in crescita, i decisori politici, prima di ipotizzare qualunque “riforma”, dovrebbero interloquire con gli esperti della trasmissione culturale e quelli dell’età evolutiva – insegnanti, psicoanalisti, intellettuali, educatori – e non con i rappresentanti di associazioni private – Fondazione Agnelli, Treelle, Anp – che rappresentano e perseguono appunto interessi privati. 

5) Il reclutamento e la formazione degli insegnanti

 La formazione e il reclutamento degli insegnanti devono avere al centro la preparazione culturale, la conoscenza approfondita e di prima mano dei contenuti disciplinari, – solo degli autentici esperti possono infatti trasmettere agli studenti la passione per il sapere e per le singole discipline – la motivazione e la propensione all’insegnamento, alla condivisione culturale e alla relazione con le persone in crescita. Per quanto riguarda l’aspetto relazionale, gli insegnanti devono poter avere un confronto con esperti dell’età evolutiva di comprovata esperienza ed elevata professionalità, anche attraverso lo strumento dello sportello d’ascolto psicologico e di gruppi dedicati, per esaminare le dinamiche su cui si fonda il rapporto educativo e per poter sciogliere, dove occorra, eventuali nodi relazionali.

6) Restituire centralità all’ora di lezione

Autorevoli esponenti politici hanno chiesto che gli apprendimenti non acquisiti in “didattica a distanza” vengano recuperati attraverso un prolungamento dell’anno scolastico. Questa proposta, purtroppo, appare niente più di una boutade demagogica: chiunque conosca il mondo della scuola e le dinamiche dell’insegnamento/apprendimento – e non pensi che consistano in una rapida verniciatura di “competenze” – sa benissimo che in due o tre settimane, alla fine di un periodo terribile, non è possibile recuperare nulla di ciò che si è perso in un anno di mancata scuola in presenza. Dopo vent’anni di devastanti “riforme”, occorrerebbero invece interventi precisi e profondi, per rilanciare la funzione della scuola, e cioè, prima di tutto, restituire centralità all’ora di lezione disciplinare, un’ora squalificata e messa ai margini da una serie di attività che ne snaturano la funzione e la rendono un’attività residuale. Se davvero si vuole recuperare il tempo perduto, occorre eliminare ciò che non è apprendimento e insegnamento: 

– via  gli inutili percorsi di “alternanza scuola-lavoro” (ora PCTO), da sostituire semmai con stage sensati e non obbligatori, se e quando ne valga la pena, fuori dall’orario scolastico e su decisione dei consigli di classe; 

– via i test INVALSI, che sottraggono settimane di tempo all’attività scolastica senza che se ne siano mai chiariti il senso, la funzione e l’utilità: ritorno dell’INVALSI a una funzione puramente statistica sull’andamento della scuola italiana;

– smantellamento del carrozzone INDIRE, che impone tramite la formazione e il reclutamento degli insegnanti la propria egemonia sulle metodologie didattiche e sull’ “innovazione”, in spregio del principio costituzionale della libertà di insegnamento;

– via i progetti non indispensabili (ad eccezione ad esempio della mediazione linguistica e culturale per gli studenti stranieri e dello sportello d’ascolto psicologico, attività che andrebbero potenziate, rese strutturali e affidate a seri professionisti attraverso degli albi nazionali e non alla casualità di progetti improvvisati), funzionali soltanto ad alimentare un’assurda concorrenza tra istituti, che fanno dimenticare da decenni che l’unico vero, utile, indispensabile progetto che la scuola offre è l’ora di lezione. Va rovesciata la prospettiva: non è la scuola ad essere un progettificio a prescindere, è che singoli progetti particolarmente validi possono essere accolti da una scuola che però di base fa altro;

– via il RAV, le programmazioni ipertrofiche e standardizzate e tutti quei documenti in cui la descrizione astratta e burocratica dell’insegnamento prende il posto dell’insegnamento stesso, in una continua e paradossale certificazione del nulla; 

– via i PTOF cervellotici che prendono a pretesto presunte esigenze dei “territori”. Ciò che davvero offre qualunque scuola pubblica è l’insegnamento dell’italiano, della matematica, delle lingue, delle scienze, delle arti, delle tecnologie, della letteratura, della storia, della geografia,  della storia delle idee, del diritto, la conoscenza di sé e del proprio corpo anche attraverso l’attività fisica e la socialità scolastica…non basta? Quelli che dicono che non basta vogliono in realtà togliere di mezzo proprio ciò che di prezioso la scuola offre; 

– via insomma tutte le attività burocratiche inutili che sottraggono tempo, attenzione ed energie agli insegnanti, che devono dedicarsi con urgenza all’insegnamento. Perché questa rivoluzione sia possibile occorre però:

7) Rivedere l’intero impianto fallimentare dell’ “autonomia scolastica”

L’ “autonomia scolastica”, introdotta al tempo del ministro Berlinguer, da oltre vent’anni a questa parte ha trasformato la Scuola pubblica nazionale, – “organo  costituzionale della democrazia”, nelle parole di Calamandrei – in una serie di para-aziende in assurda concorrenza tra loro per la conquista  della clientela, in inutili progettifici, in centri di potere e di proliferazione burocratica fine a se stessa, nei quali l’ambigua figura del dirigente-manager subordina quasi inevitabilmente le finalità didattiche ed educative della scuola, le uniche che la fanno esistere e le danno senso, a esigenze burocratico-gestionali ed amministrative. È indispensabile dunque restituire alla scuola l’orizzonte pubblico, democratico e nazionale che le è proprio, in modo che nessuna finalità estranea possa interferire con l’unica attività che la scuola è chiamata a compiere, quella cioè di istruire ed educare.

8) Un diverso rapporto numerico tra studenti e insegnanti

Infine, occorre fare ciò che tutti annunciano e nessuno realizza: diminuire nettamente il numero di studenti per classe, in modo che gli insegnanti possano davvero dedicare tempo e attenzione alle esigenze di ogni studente, operazione oggi più fattibile grazie ai previsti finanziamenti europei. Occorre mettere fine al paradosso per il quale si chiede agli insegnanti di attuare una didattica personalizzata – richiesta che si risolve in realtà nella proliferazione burocratica e nella richiesta di “certificazioni” di ogni tipo – e contemporaneamente gli si impedisce di farlo, imponendo loro di lavorare in classi sovraffollate in cui sono presenti fino a trenta/trentacinque studenti. Non è un caso che il numero dei partecipanti a un gruppo di discussione, secondo la psicologia dei gruppi, vada limitato a un massimo di quindici, pena l’impossibilità dell’aggregazione e del funzionamento del gruppo stesso; per la scuola, bisogna ribadire almeno che in nessun caso possano essere formate classi con un numero di studenti superiore ai venti.

C’è inoltre da smontare subito quella che, nel migliore dei casi, può essere considerata un’ingenua illusione, l’idea cioè che gli strumenti digitali permettano agli insegnanti di seguire un numero ancora maggiore di studenti, magari attraverso la produzione di video da mostrare in lezione asincrona. È vero esattamente il contrario: la “didattica a distanza”, largamente inefficace con le persone in crescita, visto che per bambini e adolescenti non esiste apprendimento che non passi per la relazione e per continui feedback verbali e non verbali, richiederebbe semmai un rapporto uno a uno tra studenti e insegnanti, per poter avere una sia pur limitatissima validità.

***

L’elenco dei firmatari verrà allegato a breve. Hanno sottoscritto il manifesto anche:

Alessandro Barbero

Mauro Biani

Mauro Boarelli

Riccardo Bocca

Luciano Canfora

Chiara Frugoni

Carlo Ginzburg

Francesco Guccini

Edoardo Lombardi Vallauri

Vito Mancuso

Dacia Maraini

Donata Meneghelli

Ana Maria Millan Gasca

Tomaso Montanari

Roberto Piumini

Filippomaria Pontani

Adriano Prosperi

Massimo Recalcati

Lucio Russo

Maria Michela Sassi

Salvatore Settis

Gustavo Zagrebelsky

Considerata l’ampia adesione al documento, la raccolta firme si sposta anche sulla piattaforma Change. Si può aderire anche attraverso comunicazione scritta ai promotori del manifesto. Per la firma su Change:

http://chng.it/pLRQ47qfX9

Per informazioni e adesioni:

infomanifestoscuola@gmail.com

Promotori

Anna Maria Agresta

Manfredi Alberti

Maria Teresa Alicata

Teresa Apone

Sergio Arangino

Angela Baldini 

Laura Bianco 

Eura Borelli

Enrico Campanelli

Monica Capo

Lucia R. Capuana

Marco Cerase

Maria Rosaria Chiarolanza

Orazio Ciamberlano

Elisabetta Cipriani

Antonella Currò

Cinzia D’Eramo

Loredana De Caprio

Mariagrazia De Marco

Francesco De Martino

Maurizio Di Bella

Fabio Elemento

Miranda Fanny

Maria Silvia Griva

Roberto Ippolito

Flora Livi 

Giorgia Loi 

Luca Malgioglio 

Bruna Maratea

Sergio Massone

Stefano Mescolotto

Raffaella Montani 

Ennio Moschitti

Patrizia Mura       

Fabiana Nencini

Cristina Picciotto

Miriam Piro

Marina Polacco

Enrico Porrini

Daria Ricchiazzi

Alice Romagnoli

Paolo Santaniello

Lorenzo Sarno

Paola E. Silano

Vincenza Sorvillo   

Filippo Spallino

Paolo Sullo

Francesco Tescione

Floriana Vernola

Davide Viero

Alessandro Zammarelli

La nostra scuola

Teachers for Future Italia

77 pensieri riguardo “Manifesto per la nuova Scuola

    1. Complimenti al gruppo per il lavoro svolto. Sarebbe bello eliminare tanta burocrazia e tante scartoffie che rimangono sulla carta …prof, rav, invalsi

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  1. Condivido in pieno: affranchiamoci da tutti quegli impegni burocratici inutili e dedichiamoci allo studio e all’insegnamento. Pretendiamo più risorse per la scuola, valorizziamo le eccellenze e proponiamo percorsi mirati per gli studenti difficili e a rischio dispersione.

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  2. La scuola che vorrei…da che parte dobbiamo iniziare? Perché io vorrei rifiutarmi di “somministrare” prove e valutare “performance”, ma non ho il coraggio del maestro Manzi, che scriveva in pagella “Fa’ quel che può” a tutti…sfidando e affrontando le regole di una scuola di cui non riconosceva l’utilità né per gli alunni né per la società…

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  3. Condivido tutto. Unico punto da approfondire e dettagliare quello sulla formazione e reclutamento degli insegnanti. Bisogna mettere in evidenza tutte quelle concause , frutto di distorsioni e disfunzioni sistemiche, che negli anni hanno avvilito qualsiasi passione e snaturato il ruolo e la figura dell’insegnante.

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  4. Condivido. La scuola deve promuovere apprendimento e socialitâ attraverso percorsi mirati atti a garantire a ciascuno la possibilità di esprimersi al meglio .

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  5. Tutto condivisibile, ma poi? Non succede nulla. Come scrivevo poco fa a un collega, noi insegnanti siamo ormai una classe di timorosi impiegatucci sottomessi alla dittatura morbida della scuola dell’autonomia. Le voci critiche sono poche e isolate. La stragrande maggioranza preferisce lamentarsi nei corridoi e poi ritirarsi nel proprio privato.

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    1. Gentile Teresa, noi questo manifesto – da cui deve partire un grande ripensamento della scuola che si basi sulla forza delle idee – vogliamo portarlo sui media nazionali; se ognuno di noi si impegnerà a diffonderlo, sarà anche più facile.

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  6. Mentre i governi demoliscono la scuola e i sindacati perseverano nel loro silenzio assenso , ci sarà qualcuno che ascolterà le voci che provengono dal ” basso”? Ben argomentato e condivisibile il tutto. Grazie

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  7. Al punto “via i progetti non indispensabili”, nominerei, tra quelli indispensabili, i progetti di educazione all’affettività e sessualità.

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    1. lamerotanti, temo che lei non abbia capito nulla, o sia vittima (come tanti) di una grande mistificazione: è proprio lo smantellamento della scuola pubblica di qualità ad aprire la strada a un’istruzione per pochi, che condanna tutti gli altri all’inferno di una non-scuola dove non si impara nulla. Smantellare una scuola pubblica dove, semplicemente, si insegni e si impari e trasformarla in tutt’altra cosa (parcheggio, baby sitting, minestrone multidisciplinare, addestramento professionale superficiale e inutile) rappresenta la manovra tipica di una società neoliberista spietata e classista.

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      1. Per chiarire meglio le mie critiche, inserisco due o tre riflessioni più ampie scritte oggi su facebook.

        Il manifesto parla di una rivoluzione della scuola, ma – leggendolo – l’impressione che ho avuto è quella di un palese desiderio di ritorno al caro e vecchio liceo degli anni d’oro, riservata – questa scuola – a tutti, dove questi tutti dovrebbero essere ragazzi che hanno le stesse caratteristiche culturali della cara e vecchia classe alto borghese.

        Il manifesto ha diversi cortocircuiti. In un punto viene descritto il buon docente che sopra ogni cosa deve conoscere la sua disciplina. Un buon docente è quello che conosce bene la sua disciplina. La scuola è una scuola di conoscenze, non di competenze.

        In altro punto viene però detto che il docente, che non deve tener conto delle competenze, deve intessere un rapporto prima di tutto umano (no al digitale), e la figura che viene tratteggiata è quella di un educatore che lavora anche con il materiale affettivo, relazionale ed emotivo dei ragazzi.

        In che maniera dovrebbero essere formati questi docenti perché sappiano gestire queste delicate relazioni umane? Il manifesto lo dice chiaramente: la conoscenza approfondita dei contenuti disciplinari. Quindi se hai in classe un ragazzo in crisi, puoi provare a intessere relazioni umane con lui cercando nel tuo bagaglio di conoscenze didattiche, chessò, odontotecniche.

        Per fortuna poco dopo c’è un piccolo spiraglio: il docente può comunque usare degli sportelli di ascolto con esperti dell’età evolutiva. Gli sportelli d’ascolto, mi sono stropicciato gli occhi per essere sicuro di aver letto bene.

        Il manifesto non manca di stigmatizzare il digitale, causa di ogni male, incarnato nella DAD, glissando sulle reali sue problematiche, che sono per buona parte organizzative/sociali. Ovviamente anche questo “no al digitale” è scritto nero su bianco; solo in digitale. Siamo in piena rivoluzione digitale, ma a scuola facciamo finta di no.

        E così via: si parla ancora di centralità dell’ora di lezione e di classi, nucleo di ogni buona scuola, ma piccole, con una dozzina di persone dentro. Intendiamoci: piccoli gruppi di lavoro, ci metterei una firma. Ma ne metterei due se si sradicasse via il concetto di classe; e ne metterei tre se una “classe” fosse regolarmente seguita da più docenti di materia e sostegno che collaborino e dialoghino assieme durante le lezioni. Quattro firme se venisse abolita la sorveglianza.

        E via cantando. Accanto ad alcune, poche, rivendicazioni condivisibili, c’è un non tanto sotterraneo desiderio di “ritorno al passato” e mi chiedo che percentuale dei firmatari, per dire, insegnino regolarmente in un professionale. Tutta la parte sull’alternanza scuola/lavoro e sulle necessità di “relazioni umane” che il docente deve avere con gli studenti sono completamente inadeguate.

        E anche altre istanze fanno cadere le braccia, come quella della centralità della sacra “ora di lezione” (in realtà, un datato e schizofrenico accrocchio organizzativo). Mi chiedo se i firmatari abbiano mai assistito ad un hackaton o ai laboratori aperti tenuti di sabato e domenica, senza classi, senza orari, su base volontaria, dove gli studenti entravano se ne avevano voglia e che erano pieni di ragazzi che – in alcuni casi – si fermavano pure a dormire all’interno della scuola in sacco a pelo.

        E aggiungo che dal documento (e dai commenti) traspare sempre un’idea della scuola delle eccellenze. Ecco, io non ho niente contro le eccellenze: ma quelli che eccellenze non lo sono? I tanti, tanti studenti che non hanno nessuna intenzione di essere eccellenza in niente che abbia a che fare con la scuola, che ne facciamo? Non si tratta di percorsi ad hoc per qualche “caso difficile” ma di una realtà sistemica. Studenti che vengono controvoglia per fare e non per studiare e che lo fanno esclusivamente per avere un lavoro. Quale scuola rivoluzionaria possiamo pensare per loro?

        Magari la visione limitata è la mia eh, ma la confusione e i sogni di restaurazione sotto al cielo sono tanti.

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      2. Gentile Lamerotanti, visto che sono uno degli estensori del documento che lei ha citato, cercherò di rispondere alle sue perplessità.

        Alla prima obiezione, in realtà, ho già risposto in altra sede: quando lei scrive “l’impressione che ho avuto è quella di un palese desiderio di ritorno al caro e vecchio liceo degli anni d’oro, riservata – questa scuola…” ecc., le ho replicato “temo che lei non abbia capito nulla, o sia vittima (come tanti) di una grande mistificazione: è proprio lo smantellamento della scuola pubblica di qualità ad aprire la strada a un’istruzione per pochi, che condanna tutti gli altri all’inferno di una non-scuola dove non si impara nulla. Smantellare una scuola pubblica dove, semplicemente, si insegni e si impari e trasformarla in tutt’altra cosa (parcheggio, baby sitting, minestrone multidisciplinare, addestramento professionale superficiale e inutile) rappresenta la manovra tipica di una società neoliberista spietata e classista, che prevede una scuola della conoscenza per le classi dominanti e una non-scuola per tutti gli altri”.

        Ammetto che la risposta è stata brusca e per alcuni versi ingenerosa; soprattutto, non ha tenuto conto di obiezioni più puntuali e articolate che lei mi ha inviato in seguito. Brevemente, allora: lei coglie una contraddizione tra la richiesta di una buona preparazione culturale e disciplinare degli insegnanti, e quella di avere degli insegnanti che sappiano relazionarsi con gli studenti. Mi scusi, ma lei ha indicato esattamente il motivo per cui fare l’insegnante è una professione complessa, certamente non alla portata di tutti: sì, l’insegnante è contemporaneamente un esperto della propria disciplina e una persona che, per propensione individuale o per formazione, è in grado di rapportarsi con le persone in crescita e di motivarle allo studio attraverso la relazione. Mi stupisco del suo stupore in proposito. Altro discorso è se lei mi chiede come si possano valutare e misurare la capacità comunicative e relazionali di un insegnante, anche nel percorso di reclutamento: questo a mio avviso è un argomento estremamente complesso, in cui non a caso il nostro documento non si avventura, che richiederebbe approfondimenti adeguati e un ampio dibattito tra esperti dell’età evolutiva; ma anche per questo torno a stupirmi quando lei si stupisce del fatto che l’insegnante potrebbe avvalersi, nella relazione con gli studenti, dell’aiuto di psicoterapeuti qualificati che nelle scuole lavorano – o dovrebbero lavorare – attraverso lo strumento degli sportelli d’ascolto. Rapportarsi con i bambini e con i ragazzi è tutt’altro che semplice, e solo qualcuno che comprenda le dinamiche profonde che si creano all’interno di una relazione, invisibili a chi le vive direttamente, può aiutare a sciogliere eventuali nodi relazionali dovuti a proiezioni di vario genere sia da parte degli studenti, sia da parte degli insegnanti.

        Su un punto, più che stupirmi, la devo contraddire fermamente: l’affermazione apodittica per cui le problematiche del digitale e della “dad” sono “per buona parte organizzative/sociali” sembra scritta da qualcuno che non ha nessuna esperienza di rapporto con persone in crescita, e che non sa quale sia il disperato bisogno (magari non espresso) di tanti ragazzini di potersi rapportare con degli adulti; così come non sa che l’apprendimento è legato inscindibilmente alla relazione, e che esso – non in astratto e ideologicamente ma nella concreta pratica didattica – necessita di una continua interazione e feedback di parole, sguardi, gesti, che non è possibile attuare “a distanza” (per essere ancora più concreto e terra-terra, direi che il bravo insegnante è quello che coglie al volo le difficoltà di comprensione di chi ha di fronte e riadatta immediatamente quello che dice e quello che fa a quelle difficoltà. Questo, mi dispiace, a distanza non si può fare).

        La classe (quella che il neoliberista “di sinistra” Bianchi vorrebbe smantellare, considerandola una “rigidità” novecentesca: già, una rigidità che intanto ha permesso a milioni di persone di essere alfabetizzate…): basta leggere qualche buon testo divulgativo di psicologia, senza ricorrere ai grandi autori della psicoanalisi contemporanea, per rendersi conto di come limiti e regole, per le persone in crescita, non siano la prigione che potevano essere nella scuola di settant’anni fa, ma siano dei “contenitori” dell’angoscia, della confusione e dello smarrimento che rappresentano la premessa della libertà e dell’individuazione. Bambini e adolescenti, per quanto possa sembrare strano, cercano la guida degli adulti, che non lascino solo fare loro quello che vogliono ma sappiano anche indirizzarli con dei sì e dei no ragionevoli e motivati. D’altra parte, si ha un’idea molto povera della socialità, se si pensa che possa essere vissuta solo nell’occasionalità di laboratori “senza classi, senza orari, su base volontaria…”: queste sono esperienze preziosissime, che non possono sostituire però l’approfondimento dei rapporti e delle dinamiche di gruppo che solo una lunga consuetudine e la costruzione lenta degli affetti possono dare; né possono sostituire un apprendimento strutturato e progressivo, che parta da un’effettiva alfabetizzazione e arrivi alla costruzione di conoscenze approfondite nei vari campi del sapere (indispensabili anche in una formazione professionale qualificante, specie in tempi in cui le modifiche velocissime del mercato del lavoro richiedono una buona preparazione – necessaria a comprendere un testo scritto, ad esempio – che faccia da base solida a qualunque percorso professionalizzante, oltre che umano). A meno che non si voglia imporre anche ai ragazzini quella “fluidità’ da futuri schiavi che fa tanto comodo alle inamovibili e per niente fluide classi dirigenti dell’economia, della politica, dell’università

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    2. Beh io ho frequentato uno di “quei bei licei di una volta” e nonostante la mia famiglia non appartenesse proprio alla “borghesia bene” ne sono uscito con il massimo di voti ma soprattutto con strumenti validissimi che mi hanno permesso di affrontare proficuamente il percorso universitario… Forse tanto male non erano quei “bei licei di una volta”

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  8. Sono le prime idee sensate sulla scuola che leggo negli ultimi anni. Il problema è che la politica e il ministero vanno nella direzione esattamente opposta🤦🏻‍♂️

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  9. Grazie davvero per questa splendida iniziativa: spero davvero che si realizzi questo progetto. L’unico progetto serio, reale, utile di cui ho sentito parlare in tanti anni di scuola. Sono sicuro che sarò un successo… tutti i colleghi insegnanti con cui ho parlato sono davvero stufi di questa scuola capace di distruggere le altissime motivazioni che hanno spinto tutti noi a dedicare una vita all’insegnamento

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  10. Solo una perplessità: riguarda il no al digitale… Sono invece convinto del contrario. Lo strumento digitale non può mancare nella “cassetta degli attrezzi” del nuovo docente della nuova scuola. Ovviamente uno strumento da usare in maniera intelligente ma che non può essere bandito

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    1. Domenico, certo. Nel bellissimo articolo che ci è stato dedicato su Tecnica della Scuola il titolo No al digitale riguarda l’inefficacia della “didattica a distanza”, non il digitale utilizzato se e quando serve.

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  11. L’ha ripubblicato su epentesie ha commentato:
    non sono insegnante, ma vorrei esserlo. oltre alle cose che si dicono qui, che sottoscrivo, personalmente farei riforme più radicali, tipo introdurre l’educazione sessuale e affettiva al posto dell’IRC. ma io sono un povero idealista ateo.

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  12. Ho insegnato con passione per 31 anni in un istituto professionale e posso testimoniare che anche in quell’ambiente l’ attenzione alla relazione umana è stata la chiave indispensabile attraverso cui costruire insieme ai miei tanti allievi percorsi didattici il più possibile orientati alla loro crescita personale e all’ acquisizione di quelle conoscenze di base e conseguenti competenze, indispensabili per il loro inserimento responsabile nella vita sociale e lavorativa!

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