
Sembra che stia avanzando l’ennesima “riforma” ai danni della scuola, in due fasi: 1) Si fanno dei concorsi per il reclutamento dei nuovi insegnanti attraverso dei test a crocette, utilizzati al posto di vere prove scritte. In pratica, non si chiede più ai futuri docenti di sviluppare ampie riflessioni culturali e didattiche sui contenuti e sulle conoscenze della propria disciplina: gli si chiede di rispondere a dei quiz [N.B. oggi la situazione è ulteriormente peggiorata, i quiz non hanno più nulla a che fare con i contenuti disciplinari e sono invece basati su un ridicolo buro-pedagogese bignamizzato];
2) Di fronte al prevedibile fallimento di questa modalità di selezione, si dice che i concorsi non servono più, che serve la “formazione”, gestita ovviamente da enti formatori esterni alla scuola. Chiaro il paradosso? Non funziona il test a crocette? Benissimo. Eliminiamo non il test a crocette ma il concorso pubblico – che funzionava eccome, quando per dare prova di averne una conoscenza adeguata si dovevano scrivere ampi elaborati sulla propria disciplina – e passiamo alla “formazione permanente” degli insegnanti, gestita come e da chi è fin troppo facile intuire [oggi con l’assurda compravendita dei CFU]. Ed ecco che a fare gli insegnanti finiranno non le persone più preparate, ma quelle che si adegueranno meglio a un didattichese/pedagogese di corsi di formazione lautamente retributi incentrati soprattutto sulla burocrazia, su una standardizzazione astratta e mode metodologiche imposte dall’alto, su una digitalizzazione a tutti i costi, coatta e scriteriata della didattica – che scambia mezzi e fini e svuota la scuola di ogni contenuto – senza tenere conto né della concreta relazione educativa all’interno delle classi né della specificità delle singole discipline. Insomma, si pretenderanno ubbidienza e conformismo invece che cultura.
Chiediamo invece, per i prossimi concorsi ordinari, che dovrebbero essere svolti almeno ogni due anni (una promessa rimasta tale da decenni):
1) Il ripristino di vere prove scritte, in cui i candidati siano chiamati a esporre in modo ampio e dettagliato alcuni contenuti fondamentali della propria disciplina e a sviluppare su di essi riflessioni epistemologiche, culturali, didattiche;
2) Un colloquio orale che abbia al centro un’approfondita discussione sulle conoscenze della disciplina e sulla possibile applicazione didattica di tali conoscenze (gli approfondimenti di didattica delle discipline dovrebbero essere previsti già nei percorsi universitari di chi pensa a un futuro nell’insegnamento). Il colloquio dovrà essere libero, non incentrato cioè a priori su metodologie standardizzate di insegnamento ritenute in astratto “innovative” ma sul modo in cui dei contenuti culturali significativi possano essere proposti alle classi, e con quali finalità educative;
3) Un anno di prova/tirocinio retribuito per i vincitori del concorso, con affiancamento a docenti di esperienza almeno quindicennale, incentrato sugli aspetti didattici e relazionali del lavoro dell’insegnante. È in questo periodo che può acquisire senso una formazione riguardante la psicologia dell’età evolutiva, particolarmente utile a chi lavori con le persone in crescita, da svolgersi con l’aiuto di professionisti qualificati, attraverso l’esame dei nodi e dei climi relazionali che si creano all’interno delle classi e del rapporto che c’è tra emozioni, relazione e lavoro sulle conoscenze nel contesto scolastico.
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