Il liceo Albertelli, la religione del digitale e il silenziamento della riflessione

Riflessioni a margine dell’assemblea aperta sul NO del Liceo Albertelli al PNRR, tenuta alla Sapienza di Roma il 15 giugno ed estremamente partecipata:

1) Perché una scuola che dice no fa tanto rumore e tanta paura? Addirittura, per questo incontro prima vengono concesse sedi (a pagamento), poi negate. E gli stessi che avevano concesso l’aula universitaria, a incontro in corso sembravano averci ripensato;

2) Evidentemente il “Piano di ripresa e resilienza” non è così a favore della scuola come si dice, altrimenti quale sarebbe il problema di aprire una discussione e un confronto? Quando si propone una cosa buona, chi la propone dovrebbe essere felice e fiero di discuterne, no? È l’occasione per mostrarne la bontà e dimostrare l’infondatezza di eventuali obiezioni. Qui invece assistiamo al tentativo di silenziare ogni dibattito, nelle scuole, sui mezzi d’informazione, negli spazi pubblici. Come mai? E come mai nessuno ha mai consultato i veri esperti della scuola, cioè gli insegnanti, prima di scrivere il PNRR, sia a livello nazionale, sia a livello dei singoli istituti scolastici? Sembra che al centro non ci sia la congruenza tra PNRR e scopi e natura dell’istruzione pubblica, ma una frettolosa costrizione che non lascia nessun tempo alla riflessione, salvo lanciare sondaggi a cose fatte con risposte predeterminate;

3) Se c’è tanta smania di approvarlo e di evitare qualunque riflessione in proposito, evidentemente il PNRR a qualcosa serve, visto che ci sono spinte così potenti a impedire addirittura che singole scuole dicano legittimamente “no, tante grazie, questi soldi, a debito sulle spalle delle future generazioni, se sono per progetti che non ci servono (e non per edilizia scolastica, riduzione del numero degli studenti per classe, sostegno psicologico, corsi L2 ecc), potete anche risparmiarli”;

4) Il PNRR serve di sicuro ad aziende che, legittimamente, dal loro punto di vista, vedono in esso esclusivamente un’occasione di profitto: ci sono aziende che offrono arredi per classi 4.0, strumenti digitali, pacchetti didattici chiavi in mano ecc. E poi, ovviamente, le grandi multinazionali del digitale, Google e Microsoft su tutte;

5) Qui si apre il primo enorme problema, un problema di finalità, diciamo: le aziende puntano ad avere dei clienti, a fidelizzare dei clienti da cui ricavare dati (il vero valore per i giganti del digitale) e a rendersi indispensabili. La scuola pubblica invece ha come scopo quello di alfabetizzare, di istruire, di emancipare rispetto a condizioni socio economiche difficili, di far crescere bene bambini e adolescenti, persone a tutto tondo e cittadini colti, consapevoli, in grado di partecipare da protagonisti alla vita democratica del nostro paese.
Ecco, si tratta di finalità inconciliabili. L’unica cosa che le renderebbe conciliabili sarebbe nel fatto che gli insegnanti, che come prevede la Costituzione incarnano le finalità didattiche, culturali ed educative della scuola facessero come si fa con i gestori della telefonia che premono per farti adottare i loro piani tariffari: tranquilli, se ci serve qualcosa vi chiamiamo noi. Qui invece siamo arrivati all’opposto, con un paradosso irricevibile (e forse proprio perché non emerga si vuole silenziare il dibattito): sono le aziende private che dovrebbero dettare agli insegnanti contenuti e metodologie didattiche, per vendere i propri prodotti, indipendentemente dal riconoscimento della loro utilità da parte di chi deve utilizzarli e senza tenere conto, tra le altre cose, della loro rapidissima obsolescenza (un’obsolescenza che non tocca invece le conoscenze ben strutturate che la scuola sarebbe tenuta a dare);

6) Altro problema: le aziende utilizzano anche dirigenti scolastici o insegnanti per fare i formatori e consigliare ad altri dirigenti i loro prodotti. Si può fare? I dirigenti scolastici chiedono il permesso all’USR per fare i formatori? E se fanno gli sponsor di aziende per cui fanno i formatori, non c’è conflitto di interessi rispetto al loro ruolo?
E poi, la cosa più grave: dare per scontato che per far acquistare certi prodotti bisogna convincere i dirigenti fa strame dell’asserzione per cui il PNRR sarebbe deciso dai collegi docenti. In realtà i collegi docenti – ancor più dopo la pandemia – sono ridotti ad approvifici (in molti casi non viene concesso nessun tempo per il confronto sul PNRR, viene chiesto un sì o un no), le decisioni nella maggior parte dei casi le prendono i dirigenti, non di rado obbligati a farlo controvoglia di fronte allo spettro del “commissariamento”, nonostante queste decisioni riguardino strumenti con cui devono lavorare i docenti, gli unici a sapere quello che davvero occorre loro.
Ci sembrerebbe assurdo un dialogo così fatto: “No no, questo non mi serve, grazie”; “Guarda, ti serve, te lo dico io” (che faccio tutt’altro lavoro). Eppure è esattamente quello che succede.

7) È solo questione di soldi? Probabilmente no. Gli strumenti digitali, o meglio la digitalizzazione integrale e i pacchetti didattici preconfezionati, anche e soprattutto nelle metodologie, con la standardizzazione che portano con sé spezzano la relazione educativa tra studenti e insegnanti, una relazione personale e umana di cui le persone in crescita hanno un disperato bisogno. Nonostante la DaD abbia prodotto le devastazioni che tutti conosciamo, si parla ora di ricorrere a forme di didattica a distanza, più o meno integrata, anche a emergenza finita. Perche?

La religione del digitale in realtà ha molto a che fare con il controllo: impedisce che il lavoro sulle conoscenze prenda direzioni imprevedibili, visto che pacchetti didattici preconfezionati, in cui tutto è già previsto, impediscono qualunque rielaborazione originale delle conoscenze, derivante dal lavoro della classe insieme all’insegnante; in pratica, impediscono l’esercizio del pensiero, che privo della libertà soffoca. Se la scuola, per funzionare ha bisogno della preziosa triangolazione tra insegnanti, studenti e sapere, il PNRR e l’intero processo “riformatore” sembra puntare a spezzare tutti i legami, quello personale tra studenti e insegnanti, sostituto dall’impersonalità dei device, e quello con un sapere vero, sostanziale, condiviso, lavorando insieme sul quale crescono anche la relazione intergenerazionale e quella tra pari.

8) Questa funzione del digitale – ridurre gli spazi del pensiero, annullandone l’imprevedibilità – a ben vedere va nella stessa direzione di altri fenomeni analoghi:

  • la sostituzione delle conoscenze, che nella loro ricchezza possono prendere nella mente degli studenti, appunto, direzioni imprevedibili, con le “competenze”, cioè un saper fare determinato a priori che ha sempre meno a che fare con il pensiero (tanto che si parla ormai di “competenze non cognitive”) e sempre di più con l’addestramento;
  • l’eliminazione della contestualizzazione storica delle conoscenze – già ai tempi della sedicente autonomia del ministero Berlinguer si parlava di “superare l’impianto storicistico della scuola italiana” -, quella contestualizzazione che permette di relativizzare il presente e di comprenderne le cause, il che significa non considerarlo un dato assoluto e immutabile ma qualcosa che può cambiare e su cui si può intervenire proprio grazie al pensiero e all’azione: se diventano consapevoli del fatto che c’è stato un passato diverso dal presente gli studenti capiscono che il presente non è l’unica realtà possibile e quindi anche il futuro potrà essere diverso. Non a caso grandi romanzi distopici come 1984 e Fahrenheit 451 mostrano come in una società compiutamente totalitaria la distruzione o la reinvenzione del passato secondo le esigenze del potere sia un elemento centrale e indispensabile;
  • la sostituzione dell’immaginazione (vedi anche i “compiti di realtà” che dovrebbero togliere sempre più spazio al pensiero astratto) con un bombardamento di immagini date – emblematici i visori messi sulla faccia degli studenti, invece della valorizzazione delle relazioni umane – ancora per sterilizzare il potenziale trasformativo dell’immaginazione (ne parlano Laval e Vergne nel libro Educazione democratica, con riferimento all’ “immaginazione sociologica”).

Da qui anche lo svuotamento delle discipline letterarie, artistiche, scientifiche, filosofiche, storiche, la cui unica validità sembra diventata quella non di ampliare il campo della conoscenza di sé e della realtà, ma di essere semmai complementari – dopo essere state adeguatamente polverizzate e sciolte in un minestrone interdisciplinare privo di ogni contestualizzazione e progressività del sapere – all’addestramento a “competenze non cognitive”, o a un “orientamento” sempre più precoce, che ripropone all’infinito agli studenti la realtà in cui sono immersi e quello che già sanno, con un annientamento della forza emancipatrice della cultura e della scoperta di ciò che non si sa.

Perché tutto questo? Probabilmente per i “riformatori” è impossibile immaginare un futuro diverso dal presente: gli studenti sono “capitale umano” da profilare e da abituare precocemente a un’identità poco solida, monadi isolate e adattabili a tutte le richieste di un mondo del lavoro sempre più fluido e precario. Per i pochi che impongono a tutti gli altri le loro decisioni, il mondo sarà e dovrà essere sempre più così, fatto di utenti, clienti, individui soli con i propri device e forza lavoro adattabile e dequalificata, anziché di cittadini colti, istruiti e consapevoli, capaci di vivere la socialità e la solidarietà umana. Non dimentichiamo che tra gli aspetti distopici della scuola 4.0 c’è l’intenzione di smantellare anche i gruppi-classe, oltre alla relazione intergenerazionale studenti-insegnanti.

È il sogno del potere, anche se un incubo per tutti gli altri: un presente in cui nulla possa cambiare e rispetto al quale diventi impossibile pensare delle alternative.

5 pensieri riguardo “Il liceo Albertelli, la religione del digitale e il silenziamento della riflessione

      1. C’è poco da aggiungere, forse il fatto che la scelta delle nuove discipline sia tutt’altro che neutra; ad esempio la nuova educazione civica nasconde l’agenda 2030, parole vecchie e note per nascondere contenuti nuovi.

        "Mi piace"

    1. Si è giunti a voler manipolare i ragazzi fin da piccoli affinché crescano convinti che ciò che gli viene inculcato sia il Verbo dell’essere ed il giusto da perseguire. Pecore da allevamento.

      "Mi piace"

Lascia un commento