
di Martin Venator
Contesto storico.
Siamo nei primi anni ’90, un periodo in cui in Italia (e non solo) si sta affermando una nuova concezione del rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione. L’idea dominante è quella del “New Public Management”, un modello importato dal mondo anglosassone secondo cui i servizi pubblici dovrebbero essere gestiti con criteri simili a quelli dell’impresa privata: efficienza, prestazioni misurabili, competitività.
In questo clima politico e culturale, nel 1995, durante il governo Dini (un esecutivo tecnico sostenuto da una maggioranza trasversale), il Ministero della Funzione Pubblica guidato da Franco Bassanini, esponente dell’allora centrosinistra, introduce la Carta dei Servizi Pubblici. Questo documento stabilisce che ogni servizio pubblico (scuola, sanità, trasporti, ecc.) debba redigere una propria “carta”, in cui dichiara i suoi obiettivi, gli standard di qualità e i diritti dell’“utente”.
Nel 1997, sotto il primo governo Prodi, la Carta viene applicata alla scuola con il nome di Carta dei Servizi Scolastici. È un atto voluto dal Ministero della Pubblica Istruzione, allora guidato da Luigi Berlinguer, sempre del centrosinistra.
Una svolta culturale: dalla scuola come diritto alla scuola come servizio
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La Carta dei Servizi segna un passaggio culturale fortissimo: la scuola non viene più concepita principalmente come un diritto costituzionale, ma come un “servizio” che le famiglie possono scegliere. In questo nuovo modello, lo studente non è più un soggetto da formare per diventare cittadino, ma un “utente” o un “cliente” che riceve una prestazione.
Questa trasformazione porta con sé conseguenze profonde, che nel tempo diventano sempre più evidenti.
Le conseguenze negative
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1. Competizione tra scuole
Invece di garantire la stessa qualità ovunque, la Carta spinge le scuole a entrare in una logica di concorrenza: devono “promuoversi”, “attrarre” studenti e famiglie, proprio come farebbe un’azienda con i propri clienti. Questo porta:
– a una maggiore distanza tra scuole “buone” e “cattive”;
– alla fuga degli studenti dai quartieri popolari verso scuole centrali o più prestigiose;
– a una cultura dell’immagine e del marketing scolastico.
Chi ne soffre? Le scuole con meno mezzi e in quartieri periferici, che vengono viste come “di serie B”.
2. Aumento delle disuguaglianze
Quando la scuola è vista come servizio, le famiglie sono chiamate a “scegliere” l’istituto migliore, come se tutte avessero le stesse possibilità di scelta. Ma:
– chi ha mezzi economici, conoscenze e reti sociali riesce a scegliere scuole migliori;
– chi è povero, straniero o vive in zone disagiate resta nelle scuole più deboli.
Così la scuola, che dovrebbe ridurre le differenze sociali, le riproduce e le rafforza.
3. Disuguaglianze anche all’interno dello stesso Comune
Anche se i Comuni, in teoria, finanziano tutte le scuole in modo simile, nella pratica:
– le scuole dei quartieri ricchi attraggono più donazioni, contributi volontari, sponsor;
– le famiglie benestanti partecipano di più, raccolgono fondi, sostengono attività;
– le scuole “centrali” ricevono più attenzione politica e più risorse materiali.
Nei quartieri poveri, invece, spesso mancano persino i fondi per riparazioni, attrezzature, corsi integrativi. Le differenze aumentano anche tra scuole della stessa città.
4. La scuola-azienda: perdita del senso educativo
Con la Carta dei Servizi, la scuola comincia ad adottare un linguaggio e una mentalità “aziendalista”: efficienza, customer satisfaction, produttività. Si riduce la scuola a una macchina che deve “funzionare bene”, perdendo di vista:
– la centralità del pensiero critico;
– il ruolo della scuola nel formare cittadini e non solo lavoratori;
– il valore dell’educazione come diritto, non come bene di consumo.
Le responsabilità storiche e politiche
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La riforma della Carta dei Servizi non nasce da un’improvvisa rottura, ma si inserisce in un processo più ampio di trasformazione neoliberale della scuola pubblica, cominciato negli anni ‘90 e portato avanti sia da governi di centrosinistra che di centrodestra.
Ciononostante è importante sottolineare che:
– l’introduzione della Carta dei Servizi scolastici è una responsabilità diretta del centrosinistra, che ha aperto la porta a una visione manageriale dell’istruzione;
– i governi successivi, anche di centrodestra, hanno proseguito su questa strada, spesso peggiorando la situazione
Sintesi
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La Carta dei Servizi ha introdotto nella scuola italiana un cambio di paradigma: da scuola come luogo di emancipazione collettiva a scuola come servizio individuale. Questo ha avuto conseguenze molto gravi, soprattutto per gli studenti più fragili, per i territori svantaggiati e per l’idea stessa di uguaglianza educativa.
Capire dove nasce questa trasformazione è essenziale per immaginare un’alternativa più giusta, in cui la scuola torni a essere uno spazio pubblico, critico, inclusivo e realmente democratico.
