
di Martin Venator
Contesto storico.
Siamo alla fine degli anni ’90. Al governo c’è il centrosinistra, guidato da Romano Prodi (poi da D’Alema e quindi da Amato). Ministro dell’Istruzione è ancora Luigi Berlinguer, già protagonista dell’introduzione della Carta dei Servizi.
In questo periodo, si porta avanti l’idea che per modernizzare la scuola occorra decentralizzare: dare più potere decisionale alle singole istituzioni scolastiche. Nasce così la Legge 59/1997, che introduce il principio dell’autonomia scolastica, poi attuato nel dettaglio con il Regolamento sull’autonomia (DPR 275/1999).
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Che cos’è l’autonomia scolastica?
Secondo la riforma, ogni scuola può ora decidere:
– come organizzare l’orario;
– che attività extracurricolari offrire;
– con quali enti o soggetti esterni collaborare;
– come usare i fondi;
– come costruire il proprio “Piano dell’Offerta Formativa” (POF, oggi PTOF).
Il dirigente scolastico diventa la figura centrale di questo nuovo modello: non più solo un “preside”, ma un vero e proprio manager educativo, responsabile del funzionamento complessivo della scuola.
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Le promesse dell’autonomia.
In teoria, questa riforma viene presentata come una grande opportunità:
– ogni scuola può adattarsi al proprio territorio e rispondere meglio ai bisogni degli studenti;
– si valorizza la creatività e la professionalità degli insegnanti;
– si semplificano le procedure burocratiche;
– si promuove la collaborazione con il “mondo esterno”.
Ma se andiamo a guardare la realtà e gli effetti a lungo termine emergono diverse criticità gravi.
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Le conseguenze negative.
1. Autonomia senza risorse = scaricamento delle responsabilità.
Lo Stato ha concesso autonomia organizzativa, ma non ha fornito risorse adeguate. Il risultato?
– Le scuole devono “fare da sé” con pochi mezzi.
– Gli insegnanti si ritrovano con più lavoro, più burocrazia e meno tempo per la didattica.
– Le disuguaglianze tra scuole si ampliano, perché chi ha più risorse (sociali, economiche, territoriali) parte avvantaggiato.
È come dire: “Ora potete decidere tutto… ma arrangiatevi.”
2. Il dirigente come manager.
Il ruolo del dirigente scolastico si trasforma radicalmente:
– può organizzare liberamente il personale;
– può negoziare direttamente con aziende, enti locali, associazioni;
– può addirittura influenzare l’assunzione di insegnanti in base all’autonomia e al PTOF (vedi dopo la legge 107/2015).
Questo porta a:
– centralizzazione del potere nelle mani di una persona sola, in una scuola che dovrebbe essere comunitaria e democratica;
– rischi di autoritarismo gestionale, con insegnanti che diventano esecutori delle strategie decise dall’alto.
3. Scuole sempre più diverse tra loro.
L’autonomia ha moltiplicato le differenze tra le scuole:
– chi è in una zona ricca o con famiglie istruite può offrire un’offerta formativa più ampia, laboratori, lingue, scambi internazionali, ecc.
– chi è in una zona povera ha meno risorse e meno possibilità di attivare progetti.
Non tutte le scuole partono dallo stesso livello, ma l’autonomia le tratta come se fosse così.
4. Mercato scolastico e marketing educativo.
La scuola diventa una “marca” da vendere alle famiglie:
– le scuole competono per attirare studenti, anche attraverso siti internet, open day, video promozionali;
– i genitori sono indotti a “scegliere” la scuola “più conveniente” per i figli;
– si diffonde l’idea che esistano scuole “di qualità” e scuole “scadenti”, anziché garantire una qualità minima uguale per tutti.
Le responsabilità storiche e politiche.
La riforma dell’autonomia è figlia diretta della stagione riformista del centrosinistra degli anni ‘90. È importante dire con chiarezza che:
– il governo Prodi e il ministro Berlinguer sono i principali promotori della legge;
– la logica sottostante è ancora una volta quella del “privato che funziona meglio del pubblico”, applicata al sistema scolastico;
– nei decenni successivi, sia governi di destra che di sinistra hanno continuato a sviluppare questa autonomia in senso aziendalistico, accentuando i problemi anziché risolverli.
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Sintesi.
La riforma dell’autonomia scolastica ha cambiato profondamente la scuola pubblica italiana. Nata con il falso intento di valorizzare la libertà didattica e adattarsi al territorio, ha finito per creare una scuola diseguale, frammentata, gestita con logiche manageriali anziché educative.

Sintesi perfetta di autentica controinformazione su questo finto idolo della scuola italiana ‘moderna’
Molti anni fa, quando l’autonomia era appena nata, mi permisi di definirla con un certo truculento sarcasmo la libertà che il boia concede all’impiccato di scegliersi la corda. Venni criticato per questa stroncatura ‘esagerata e irrispettosa’. Ma adesso si vede che questa autonomia ‘pulviscolare’ è per la scuola persino peggio di quella regionale per la sanità, il che è tutto dire… Grazie all’autore di questo pezzo. Paolo Mazzocchini (www.paolomazzocchini.wordpress.com)
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