Avanguardie educative


di Giorgia Loi

Si rincorrono nel dibattito attuale critiche feroci all’impostazione tradizionale della scuola, con l’insegnante al centro di un modello trasmissivo della conoscenza e gli studenti come utenti passivi. Pedagogisti della prima ora, politici, opinionisti, influencer, persone comuni, dai salotti televisivi, dalle proprie pagine social (che spesso hanno sostituito le chiacchiere al bar) pontificano sull’esigenza di innovare la scuola liberandola da un sistema antiquato ormai superato,  rispetto a un mondo che non esiste più. Secondo questo filone “neo-progressista” le aule sarebbero luoghi di “consumo passivo dell’informazione”, e il modo d’insegnare prevalente un’ingombrante pratica ottocentesca che fa a pugni con la maratona imposta dal mondo digitale in cui i ragazzi vivono.

Con tutto il rispetto per le opinioni di tutti, definire il lavoro sulle conoscenze (ciò che il docente per dovere morale e contrattuale è chiamato a fare) un meccanismo statico, che verrebbe subito dagli studenti, è un’imperdonabile ingenuità, irrealistico e falso. Chiunque insegni sa molto bene che il proprio lavoro passa indiscutibilmente anzitutto dalla costruzione di una relazione con gli studenti, basata su una forte alleanza educativa che è qualcosa di profondamente dinamico. Sa anche che la pratica d’aula è il fondamento di tutto, partenza e approdo nello stesso tempo, che l’ascolto è un’esperienza attiva, sensoriale ed emotiva, e direi rivoluzionaria in una società che non è più in grado di praticarla. E soprattutto ogni insegnante onesto sa che “l’iper-accelerazione” indotta dalla frenesia del digitale è malata e quindi la vera sfida della scuola è proprio quella di tornare alla lentezza, ai tempi distesi dell’apprendimento: fermare gli orologi impazziti di un mondo che corre dietro all’inutile (spacciato spesso, ingannevolmente, per utile) e che i ragazzi non reggono più. E neanche noi, francamente.
La scuola non deve adeguarsi al mondo, ma correggerne le storture.

Chi insegna sa anche molto bene che non esiste nessuna “innata fluidità digitale” nei nostri attuali studenti,  ma molta confusione (in tutti i sensi) e un analfabetismo strumentale che, a 14 anni, all’ingresso nella Secondaria di secondo grado, quando le abilità di base dovrebbero essere già globalmente strutturate, è preoccupante.

La si dovrebbe finire anche di demonizzare le nozioni, i contenuti, i cari, buoni e vecchi processi di memorizzazione, la lezione frontale, i processi di trasmissione del sapere: quale pensiero critico si vuole costruire sul nulla? Solo Dio (o la presunzione di un concetto che gli assomigli) può avere l’arroganza di creare dal nulla. Per gli uomini è ed è stato sempre fondamentale conoscere. La fase di creazione è sempre preceduta da una di studio, comprensione e rielaborazione del già detto, fatto, accaduto. I ragazzi chiedono questo, diciamolo, vogliono insegnanti anzitutto preparati nella loro disciplina e, insieme, capaci di entrare in relazione.

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