
Riprendiamo un altro brano del fondamentale lavoro di Laval, Vergne, Clement, Dreux, La nuova scuola capitalista, che mostra chiaramente come la “professionalizzazione” con cui si vorrebbero sostituire la scuola e l’istruzione non abbia nulla a che vedere con una vera formazione professionale.
«Un tratto caratteristico dell’evoluzione dei sistemi di formazione consiste in un generale processo di “professionalizzazione”, processo che va nettamente distinto dallo sviluppo della formazione professionale.
Contrariamente a quanto si dice, professionalizzazione dell’istruzione non significa estensione della “formazione professionale”. Il cambiamento non dipende neanche da una semplice imitazione del mondo del lavoro, anche se un discorso costante e di lunga durata continua a sostenere il collegamento sistematico tra istruzione e impiego.
Senza dubbio continua la tradizionale critica all’istruzione di non preparare abbastanza i giovani all’integrazione sociale e professionale; ma le trasformazioni in atto non si limitano al vecchio problema dei datori di lavoro di adeguare i titoli di studio ai posti di lavoro. Il mondo dell’istruzione è ora travolto e avvolto da un processo che sta ridefinendo luoghi, soggetti, metodi di apprendimento e obiettivi. È proprio l’intero spazio istituzionale del sistema educativo, con le sue divisioni tradizionali, che ne risulta profondamente trasformato.
Nel sistema educativo francese la formazione della forza lavoro è stata concepita e organizzata negli anni Ottanta secondo un modello dominante caratterizzato dalla scolarizzazione della formazione professionale, che com’è noto in pochi decenni ha prodotto un notevole
incremento dei livelli di formazione e di qualificazione (cfr. Vergne 2001). La formazione professionale scolastica è stata un’estensione della formazione generale pur rimanendo distinta da essa. L’obiettivo era principalmente fornire agli studenti una qualificazione corrispondente a un diploma riconosciuto a livello nazionale e nella maggior parte dei contratti collettivi dei comparti di lavoro. Così concepita, la formazione professionale sanciva la padronanza dei saperi e delle abilità caratteristiche e costitutive di determinate professioni o, più in generale, campi professionali, che offriva una garanzia istituzionalizzata di un posto nella divisione tecnica e sociale del lavoro. È proprio questo sistema complessivo istituito dopo il 1945 che oggi è messo radicalmente in discussione.
[…] La riorganizzazione del sistema formativo secondo il paradigma della professionalizzazione è una risposta a obiettivi diversi dalla formazione professionale, i cui principi abbiamo appena ricordato. La formazione cosiddetta “professionalizzante” mira innanzitutto a sviluppare competenze e attitudini che siano direttamente trasferibili all’intera organizzazione “flessibile” del lavoro. Essa relativizza o, meglio, ri-formatta i saperi e i saper fare legati alla cultura delle professioni, sottoponendoli a una nuova logica di acquisizione di un comportamento normalizzato, ritenuto comune a tutte le professioni, a tutte le situazioni di apprendimento e di lavoro e a tutte le condizioni ibride che caratterizzano oggi la transizione dalla formazione al lavoro. La formazione professionalizzante incentrata sullo sviluppo di competenze interdisciplinari prepara, anticipa e si unisce al lavoro-professionalizzante, che mira a sviluppare la flessibilità dei lavoratori e il riciclo permanente della loro capacità produttiva. Di più, è alla costruzione di una nuova soggettività che lavorano i nuovi modelli formativi, preparando mentalmente i giovani alla necessità di gestire individualmente il proprio bagaglio di competenze e al continuo riadattamento a nuovi contesti produttivi e organizzativi in perenne cambiamento.
[…] Le norme di occupabilità su “comportamento”, “mentalità”, buone disposizioni e intenzioni consentono ormai di trasformare esplicitamente la scuola in un luogo di produzione di soggettività docili, flessibili, adattabili e reattive, come richiedono le imprese. […] L’imposizione di un nuovo modello di condotta interamente finalizzata alla logica dell’occupabilità, cioè alla ricerca delle migliori condizioni per allocare forza lavoro in un mercato altamente competitivo e per la sua utilizzazione ottimale da parte dell’impresa, tende a mettere fuori gioco le funzioni tradizionali della formazione professionale. La giusta misura della professionalizzazione non si limita più al grado di rispondenza di un insieme di qualifiche a un lavoro, essa viene ora misurata dalle “qualità umane”, che riguardano i rapporti con la gerarchia, il grado di motivazione e soprattutto il rapporto tra un certo tipo di soggettività (il gusto per il “successo”, la necessità di “correre”, la capacità di “superarsi”, ecc.) e la modalità altamente individualizzata del “management della performance”».
C.Laval, F.Vergne, P.Clément, G.Dreux, La nuova scuola capitalista, Napoli, Suor Orsola Benincasa Università Editrice, 2025, pp.131-136 [passim]
