
di Maria Elena Bertoli
Salve a tutte le colleghe e i colleghi. Solo una riflessione legata agli innumerevoli corsi sul digitale che vengono proposti oggi agli insegnanti nella scuola. A mio avviso siamo in presenza di una sorta di reductio ad unum per cui tutte le dimensioni dell’attività educativa vengono riportate sotto il cappello del digitale, che si dà per scontato possa risolvere tutti i problemi e debba dunque essere usato a tutto campo e in ogni direzione. Ma il fatto è che, in questi corsi, non si tratta solo di imparare l’uso di strumenti che sarebbero neutri. Si tratta di adottare sistemi complessi e dalle molteplici implicazioni, che vanno a impattare fortemente sulle nostre vite, sulla società e sul mondo.
La digitalizzazione a tappe forzate a scuola pare oggi assumere i contorni di una fede, di un dogma. Non è infatti per niente provato che digitalizzare tutti gli aspetti dell’attività educativa possa migliorarli; non solo non è dimostrato, ma soprattutto non è discusso. Sappiamo che col digitale spinto e con l’intelligenza artificiale siamo in presenza di una vera e propria trasformazione antropologica, ancora tutta da valutare e rispetto alla quale la scuola potrebbe e dovrebbe costituire uno spazio di riflessione, di valutazione e di elaborazione di strumenti sociologici, psicologici e ancor di più antropologici e filosofici per considerare in modo profondo, affrontare ed eventualmente attutire l’impatto di certi processi sulle nostre vite e anche per immaginare strade alternative. Perché no? Siamo fatalisti e pensiamo che i processi umani e sociali, come la digitalizzazione, siano ineluttabili?
Ma c’è tutto questo nella scuola? Mi pare di no. Mi pare di vedere un acritico profluvio di proposte digital-pedagogiche ma non vedo una riflessione filosofica e antropologica seria sul senso e sugli impatti che il digitale ha nei processi cognitivi, educativi e sociali. Si suppone infatti, per fede, che l’impatto non possa essere che positivo. Tanto è vero che si tende a pensare che, per ciò che attiene al processo di digitalizzazione, nella scuola come in altri ambiti, si possano saltare i passaggi decisionali democratici.
La scuola è uno spazio appetibile perché è ampio, perché coinvolge tutti, perché va a impattare sui più giovani. Sta a noi custodirlo, nel modo più intelligente e più saggio che possiamo, prima di tutto prendendo consapevolezza dei processi, dei poteri, degli indirizzi, delle implicazioni, delle spinte molto forti e cercando di vedere se queste sono compatibili con la qualità e la profondità della cultura che vogliamo trasmettere ed elaborare con i nostri studenti.
Sta dunque a noi riflettere, studiare queste dinamiche tecnologiche e sociali nella loro profondità e diventarne sempre più consapevoli. Questo perché il nostro compito educativo non sia strumentalizzato per altri fini e piegato in direzioni che non vorremmo.
