La ‘cattiva strada’: i trapper e il tradimento degli adulti

Orribili, i contenuti dei testi dei ‘trapper’ di cui si è tanto parlato in questo periodo; eppure, dopo averne ascoltati parecchi, io ci trovo non solo e non tanto l’esaltazione delle droghe, il compiacimento della volgarità, della misoginia, del cinismo, della violenza verbale; ci vedo, invece, la stessa disperazione e lo stesso senso di vuoto provati da molti bambini, adolescenti, giovanissimi. È questo il vero motivo – la possibilità di identificazione che offrono – che sta alla base del successo di persone che offrono prodotti estremamente poveri non solo dal punto di vista artistico ma anche dal punto di vista umano. Insomma, non si può non concordare con lo psicoanalista Massimo Recalcati, quando mette in guardia dai facili giudizi un mondo adulto che ha molte responsabilità e che rischia di non comprendere quello che sta avvenendo alle nuove generazioni, se si accontenta di trovare le cause del malessere dei propri figli, il capro espiatorio, in quello che è solo il sintomo di questioni ben più profonde, che riguardano proprio il ‘tradimento’ da parte degli adulti (“Noi adulti diamo testimonianza di quanto, per esempio, la lettura e la cultura, l’amore e la solidarietà, valgano più dell’accesso a un guadagno facile o dell’inganno del prossimo? Sappiamo dare testimonianza ai nostri figli che la Legge del mercato non è la sola Legge possibile per l’umano?”).

Vorrei fare qualche considerazione in proposito:

1)      I ragazzini hanno un disperato bisogno di un ‘contenimento’ che li aiuti a trovare la loro strada; e il contenimento può arrivare dal mondo adulto attraverso l’affetto, la presenza, le regole, l’ascolto, la vicinanza, l’autorevolezza, la credibilità… Certo, ci sono persone che invece di curarsi diventano un modello per gli adolescenti facendo esattamente l’opposto: spingono ad ‘agiti’ che tagliano rabbiosamente via il pensiero ed escludono il riconoscimento e l’elaborazione delle emozioni, degli affetti, dei sentimenti, della stessa rabbia; fanno da fattore scatenante e da legittimazione di una violenza veicolata da parole senza significato, usate come oggetti contundenti; insegnano la logica e la violenza del branco, rispetto al quale si pongono come idoli folli, in cambio di un po’ di ‘popolarità’ che dia un senso alla loro vita…

Ma, come si accennava prima, questa operazione può riuscire solo se si impianta in un preesistente deserto di affetti, di attenzione, di cultura, di cui gli ‘artisti’ di cui si parla sono soltanto il sintomo. Troppo facile vedere l’origine di ogni male in quelle che una volta si chiamavano ‘cattive compagnie’. Il grosso problema è invece che mancano all’appello, come al solito, gli adulti. Infatti…

2)      Genitori indifferenti o rassegnati affidano sempre più precocemente i propri figli ai social, ritraendosi volentieri da ogni autentico rapporto con loro o accettando passivamente la perdita del contatto… Ma i social non sono benevole baby sitter cui delegare cura, socialità e rapporti umani, sono meccanismi seducenti e pericolosi, mossi da mani consapevoli e capaci di esercitare un’influenza decisiva sulla vita delle persone in crescita. Il pericolo maggiore dei social è proprio quello di favorire la creazione di un ‘mondo a parte’ che escluda gli adulti (‘Il signore delle mosche’?), e che con gli adulti escluda la possibilità di una tutela saggia e discreta sulla vita dei giovanissimi, di un accompagnamento fondato sul voler bene, del confronto e dello scambio affettivo tra generazioni diverse, dell’esistenza stessa di punti di riferimento saldi e amorevoli a cui affidarsi nei momenti di difficoltà e di dolore. E si vuole che i ragazzini siano sempre più soli, in un mondo artificiale dove gli adulti non ci sono più, perché questo li rende infinitamente vulnerabili e manipolabili.

3)      Una volta accertato che i figli stanno male, come mai moltissimi genitori non riescono a pensare che essi hanno bisogno di aiuto e non fanno nulla per farglielo avere? Come diceva Freud, gli uomini credono nel principio di causa-effetto in tutti gli ambiti dell’esperienza, tranne in quello psicologico; per cui, lo ‘stare male’ dei figli diventa un ‘mistero’, che in realtà è tale solo perché si evita di indagarlo davvero, e si evita di indagarlo perché quasi sempre è un malessere di origine familiare, che riguarda tutta la famiglia e non solo il figlio incomprensibile o ‘malato’. Molti genitori sostengono che i figli siano dotati di un ‘carattere’ immutabile già dalla nascita: questo carattere, dall’origine misteriosa, spiegherebbe tutte le difficoltà dei propri figli, come se la storia personale, di cui essi (genitori) sono grandissima parte, non avesse niente a che fare con lo sviluppo psichico e affettivo di quell’individuo. Questa clamorosa negazione dell’influenza della storia personale ed affettiva sullo sviluppo della personalità – come se quello che passa dall’ambiente a un bambino, dai primi giorni di vita in poi, non avesse nessuna importanza – trova d’altra parte ‘autorevole’ conferma nella genetica e nella neurologia, o meglio nelle loro versioni più volgari: ed ecco che profonde ferite e grandi sofferenze affettive, che se non vengono affrontate per quello che sono possono segnare una persona per tutta la vita, diventano delle caratteristiche che dipendono dai ‘geni’, o da un malfunzionamento cerebrale, ovviamente non diagnosticabile, non rilevabile con gli strumenti diagnostici ma certamente postulabile sulla base dei suoi effetti…

D’altra parte, ognuno trova le giustificazioni che più gli aggradano, e ognuno si racconta la storia che meglio gli serve a preservare lo status quo ed il proprio equilibrio emotivo; ed ecco che molti genitori declinano le proprie responsabilità e soprattutto tengono lontani i figli da aiuti terapeutici che soprattutto in adolescenza potrebbero essere decisivi e vitali con giustificazioni anticipatorie del tipo: “Ho due figli che sono nati nella stessa famiglia, eppure sono diversissimi tra loro, vede? Non c’è niente da fare, è carattere…”.

Articolo pubblicato il 2/1/2019

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