Libri a scuola, in dieci punti

Nota: le considerazioni svolte qui valgono soprattutto per la scuola secondaria, di primo e secondo grado, in cui sono state messe alla prova a lungo anche da chi scrive. È probabile che alcune di queste considerazioni, specie quelle sulle modalità per invogliare a leggere, andrebbero invece calibrate in maniera diversa per quanto riguarda la scuola primaria e, ancor di più, per quella dell’infanzia. Sarebbe bello se insegnanti di questi ordini di scuola volessero integrare o correggere nei commenti quanto scritto qui.

  • Importanza della lettura. Siamo tutti d’accordo, almeno a parole, sull’importanza vitale che la lettura dei libri ha per la mente degli esseri umani (fa eccezione qualche fanatico del post-umano). Senza libri la mente non respira, non si confronta con nulla e spesso annaspa nel vuoto di un’immediatezza senza pensieri, tutta “agita” nel concreto, priva di ogni elaborazione possibile dell’esperienza. Le parole definitive sulla lettura sono quelle celeberrime di Umberto Eco: “Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5.000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… Perché la lettura è un’immortalità all’indietro”. Certo, leggere apre mondi, lo sentiamo dire spesso ed è verissimo; va anche detto che se la si continua a ripetere senza riuscire a far conoscere alle nuove generazioni il fascino dei libri, questa frase rischia di diventare un inutile luogo comune.

  • Consumismo. È innegabile che la crisi del libro e la sua sostituzione con l’immediatezza di internet, dei social e dei giochi in rete sia perfettamente funzionale a un sistema economico che si regge sul consumo continuo di ogni cosa, in un presente privo di ogni spessore e di ogni relazione con il passato. Il libro, in questa prospettiva, è “antieconomico”: anziché creare e stimolare falsi bisogni, appaga con grande semplicità una serie di bisogni autentici, profondi, radicati. Il libro non passa, permane, ci fa riflettere ogni volta in un modo nuovo, a seconda dell’età e della situazione in cui ci troviamo; può accompagnarci per tutta la vita, a differenza degli oggetti del consumo, effimeri e volatili, che vengono sostituiti a un ritmo sempre più accelerato. Per sé il libro chiede solo tempo, l’unica cosa che – anche a scuola – non viene concessa: si cerca infatti di sostituire la stessa maturazione umana e culturale, che ha la sua indispensabile lentezza, con una verniciatura di “competenze”. 
  • Inerzia. D’altra parte, scoraggiare alla lettura dei libri, specie per quanto riguarda bambini e adolescenti, è semplicissimo: basta non fare nulla. O meglio, basta far leva sulla forza di inerzia con cui ognuno di noi si scontra ogni volta che deve cominciare a fare qualcosa di nuovo. La prima pagina di un libro è una porta da aprire, e aprirla richiede uno sforzo iniziale, tanto più difficile quanto più manca l’abitudine a farlo. Non è semplice entrare nella storia che ci viene raccontata in un romanzo, capire dove ci si trova, cominciare a conoscerne e riconoscerne fatti e personaggi; allo stesso modo nel leggere un saggio bisogna iniziare a dipanare il filo delle idee di chi l’ha scritto, e per leggere una poesia bisogna prima di tutto capire i significati letterali e poi mettersi in sintonia con gli affetti, le immagini, i suoni… Questo sforzo iniziale viene poi ampiamente ricompensato dal nutrimento della lettura; la fatica della comprensione, indispensabile per entrare in un nuovo mondo, viene ripagata da una moltiplicazione di esperienza: ma chi si ferma spaventato e paralizzato alla copertina questo non lo sa, e purtroppo rischia di non saperlo mai. Di sicuro, nulla di ciò che circonda i ragazzini li spingerà mai alla lettura, anzi: le multinazionali del digitale e dei social – che negli ultimi tempi vogliono entrare anche nello spazio libero della scuola, con le loro “piattaforme didattiche” che sostituiscono la libertà di insegnamento e della conoscenza con percorsi standardizzati e preconfezionati – hanno tutto l’interesse a esercitare una continua stimolazione superficiale e ipnotica sulle fasce più vulnerabili della popolazione, che le tenga lontane da ogni autentico approfondimento culturale, che spenga la loro naturale curiosità nei confronti della realtà e di se stessi, che le trasformi in utenti e clienti sempre più passivi ubbidienti a dinamiche stimolo-risposta. La pervasività delle suggestioni anticulturali, per cui la lettura, paradossalmente, diventa oggetto di stigmatizzazione tra i giovanissimi, è alimentata anche da questo “sistema” di marketing.
  • Una dolce costrizione. Per questo, specie a scuola, è indispensabile esercitare una “dolce costrizione”, per rompere quella barriera dell’inerzia che rischia di tenere i ragazzi lontani dalla lettura per tutta la vita. Per far cominciare a leggere dei libri a dei ragazzini che non l’hanno mai fatto, o che non leggono più da anni, bisogna trovare il modo di invogliarli, attraverso la giusta attenzione da parte degli adulti, il cui primo compito, anche in questo campo, è quello di esserci e di sollecitare trovando la strada migliore per farlo.
  • Il ‘buon cuore’. Qualche collega dal cuore buono obietterà, a questo punto, che la lettura è una passione, che spingere qualcuno a leggere è controproducente e rischia di allontanarlo per sempre dai libri. Ovviamente c’è modo e modo per farlo: il modo migliore per invogliare a leggere a scuola è fare dei libri un oggetto di interesse e di lavoro comune, di commento e di interpretazione insieme agli studenti, i quali – tutti – anche quando non lo sanno, hanno una grandissima voglia di sentir raccontare delle storie; basta anche citare una semplice frase e chiedere agli studenti di rifletterci su, per accendere la loro curiosità e dare importanza ai loro pensieri. Ma è anche vero che spesso lo “svezzamento” richiede una certa fermezza da parte degli adulti che, nel rispetto del loro ruolo, a volte devono saper chiedere con decisione, senza lasciare alternative all’inerzia e all’abitudine (in questo caso quella di non leggere). Gli adulti sanno che lo sforzo iniziale è propedeutico al piacere della lettura, per arrivare al quale occorre creare nei ragazzi, attraverso una sapiente progressione, una consuetudine minima con il testo scritto e con il libro, possibilmente riallacciandosi al filo di esperienze di ascolto e di lettura vissute almeno durante l’infanzia, nei primi approcci con la lingua orale e scritta. D’altra parte, perché i ragazzi dovrebbero prendere sul serio una richiesta se gli adulti stessi non la considerano importante?
  • Biblioteca di classe Ecco, questa richiesta può prendere la forma della “biblioteca di classe”: i ragazzi devono scegliere un libro da un elenco dato dall’insegnante – preferibilmente concordato insieme – e leggerlo entro un certo intervallo di tempo. La stessa stesura dell’elenco dei libri della biblioteca può essere un’esperienza didattica molto importante: i libri che entrano a far parte di tale elenco vengono via via descritti dall’insegnante, che deve avere la massima cura nel suscitare la curiosità e l’interesse degli studenti, anche attraverso citazioni da commentare insieme e riflessioni di gruppo. L’elenco dei libri da leggere deve prendere forma sotto gli occhi degli studenti, che possono contribuire con le loro proposte alla sua elaborazione. I libri, a seconda dei casi, possono poi essere acquistati dagli studenti, reperiti in biblioteca, prestati dall’insegnante, scambiati tra compagni. Trascorso il periodo di tempo assegnato per la lettura, viene svolta una seria verifica sul libro letto, con una valutazione che tenga conto soprattutto dell’effettiva lettura del libro.
  • La contestualizzazione. È bene sottolineare quanto sia importante che nella presentazione dei libri e poi nel procedere della lettura da parte degli studenti l’insegnante fornisca un quadro, una contestualizzazione di ciò che si sta leggendo. Se la lettura viene evitata dai giovanissimi, questo dipende a volte anche dalla sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di difficile, di sconosciuto, di incomprensibile e minaccioso, di fronte a cui si ha paura a ritrovarsi da soli. L’anticipazione dell’adulto, al contrario, può creare curiosità, se l’adulto stesso diventa una guida rassicurante che renda almeno parzialmente prevedibile ciò che ci si può attendere dalla lettura e ne garantisca la generale comprensibilità. La paura, in questo modo, può trasformarsi nel piacere di capire e di ritrovare nelle pagine – magari in forma molto diversa da ciò che ci si aspettava – quello che era stato preannunciato.
  • Quali libri scegliere? Indispensabili, nella scelta del libro da assegnare a ogni singolo alunno, la bravura e le “antenne” dell’insegnante (che, ovviamente, non può che essere un lettore consapevole): a volte è bene far leggere libri per ragazzi, magari di moda in quel momento; altre volte si scopre che alcuni giovanissimi, contrariamente a tutte le aspettative, si annoiano con i libri pensati per loro e si appassionano insospettabilmente ai classici. Nell’aiutare i ragazzi a scegliere il libro più adatto a loro, l’insegnante deve cercare di capire quali sono le esigenze profonde dei propri studenti (tutti i lettori, nei libri, che sono ‘concentrati’ di esperienze umane, cercano qualcosa; se la trovano, è probabile che non li lascino più) – deve soprattutto ascoltarli – e usare tutta la propria esperienza, la propria sensibilità, il proprio fiuto, pur sapendo che l’esito dell’incontro con un libro è in ultima analisi imprevedibile. La scelta del libro da leggere, insomma, deve essere una forma alta di condivisione tra l’insegnante e gli studenti, e anche degli studenti tra loro: il consiglio e le considerazioni positive dei coetanei dopo la lettura rappresentano spesso una potente spinta a prendere in mano un libro con maggiore fiducia.
  • Disinnescare i trucchi. I ragazzi, si sa, “ci provano” sempre, a volte in fuga dalla fatica, a volte catturati dall’inerzia e dall’abulia, a volte per il semplice brivido di riuscire ad aggirare le richieste dell’insegnante. Oggi chiedere di relazionare su un libro significa avere un’alta probabilità di trovarsi davanti una deprimente sintesi della trama scaricata da internet oppure una relazione incentrata sull’ ‘aver visto il film’. Le contromosse, per fortuna, esistono: dalle domande sulla lingua e sullo stile del libro alla richiesta di descrivere minuziosamente alcuni episodi o di sviluppare riflessioni approfondite su ciò che si è letto, fino all’espediente di far utilizzare il libro letto nel corso della verifica, chiedendo di trovare in esso citazioni significative e coerenti con il contesto. La migliore arma di dissuasione, comunque, resta quella del voto: va spiegato all’inizio dell’anno che la mancata lettura e la copiatura della trama da internet porta automaticamente a un’insufficienza. Qui, purtroppo, l’esistenza di siti delinquenziali e dichiaratamente mirati a “risparmiare la fatica” agli studenti costringe ormai l’insegnante a un lavoro supplementare di ‘indagine’: nel caso di frasi ed espressioni sospette, una ricerca attraverso un programma antiplagio porta di solito a una rapida individuazione delle fonti. A questo punto, almeno nell’esperienza di chi scrive, dopo che alcuni di loro sono stati scoperti e sono arrivate le prime insufficienze, i ragazzi si “rassegnano” a leggere davvero; sono invogliati a farlo anche dalle valutazioni generose – al di là del risultato prodotto – che vanno assegnate a chi i libri li ha letti: l’importante infatti è capire qualcosa, non capire tutto, e i pensieri di un ragazzo che riflette su un libro vanno sempre valorizzati.
  • Comunicare la passione. Lo scopo finale di tutto questo processo, ovviamente, è comunicare la passione per i libri. Non c’è niente da fare: se questa passione è nell’insegnante i ragazzi la respirano e la assorbono molto più facilmente. Qualche anno fa ho esaminato, da commissario esterno all’esame di maturità, una classe quinta di un istituto professionale alberghiero di Roma. Ecco, gli studenti non solo erano preparatissimi, ma avevano scritto le tesine sulla base delle loro passioni letterarie e dei libri – quasi tutti capolavori della letteratura contemporanea – che li avevano ispirati e catturati. E quei libri li avevano letti davvero: quando ne parlavano si capiva benissimo che stavano parlando di una parte importante di sé, di un amore. Poi ho scoperto che il loro insegnante era un poeta e critico letterario piuttosto noto, Paolo Febbraro, capace evidentemente di trasmettere l’interesse e la passione per la letteratura, che è poi interesse per la stessa condizione umana e per la propria realtà in cerca di parole e di storie in cui rispecchiarsi. Si può fare, dunque.

Articolo pubblicato il 10/4/2019 su Professione insegnante

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