
Idee per un racconto di fantapolitica scolastica…
Scena 1
Una certa area culturale molto settaria – quella per cui l’attivismo e il cooperativismo non sono utili approcci didattici da affiancare ad altri nella plasticità dell’insegnamento/apprendimento e della relazione scolastica, ma un orizzonte didattico totalitario, da imporre in astratto a qualunque realtà educativa – riceve un inaspettato ascolto e inaspettate attenzioni da parte del potere politico, per motivi di reciproca utilità. Queste attenzioni potrebbero tradursi in pratica in spazi enormi per i formatori allineati e in ingenti risorse per le università pronte ad avallare un’idea astratta, formale e anti-disciplinare della pedagogia, a favore dell’insegnante-facilitatore di pacchetti didattici preconfezionati attraverso ‘metodologie’ altrettanto preconfezionate, da mettere al posto sia dei contenuti culturali che degli studenti in carne e ossa (mentre ogni contenuto, ogni disciplina, ogni gruppo-classe, ogni situazione educativa richiederebbe la propria modalità specifica e singolare di insegnamento).
In che modo quest’area sarebbe funzionale ai progetti di smantellamento della scuola pubblica? Intanto, nella banalizzazione di un’esperienza scolastica capace di tenere insieme rapporto umano e conoscenza e nella negazione del carattere fondamentale della scuola, che è condivisione di contenuti culturali attraverso la relazione e, viceversa, relazione costruita sulla base del lavoro comune sui contenuti culturali. Sostituire delle ‘metodologie’ astratte e standardizzate a dei contenuti culturali vivi e significativi significa spazzare via contemporaneamente conoscenze e relazione, gli assi portanti della scuola, fino a produrre un vuoto pneumatico autoreferenziale. Per fare ciò, occorre una serie di mistificazioni: ad esempio quella per cui qualunque insegnamento diventa una crudele “lezione frontale” e ogni spiegazione dell’insegnante un’impositiva “didattica trasmissiva”; o quella formalistica per cui il corpo concreto delle conoscenze diventa del tutto inessenziale nelle dinamiche dell’apprendimento.
È un discorso che si auto-invera (o auto-vanvera): le nostre idee, si dice, rappresentano il solo vero progresso pedagogico, perché oggettive e scientifiche (alla faccia di chi mette in guardia dalle pretese di oggettività nelle scienze umane, non di rado nel corso della storia foriere di grossi guai e spesso segnate da connivenze tutt’altro che scientifiche con il potere politico); le esperienze di chi nella scuola ci lavora e la consapevolezza di natura, scopi, bisogni, criticità del sistema scolastico da parte degli insegnanti non sono che “aneddotica personale”. Non sia mai gli insegnanti osassero alzare la testa e denunciare l’evidenza, cioè che una scuola travolta da due decenni di “innovazioni”-paccottiglia calate dall’alto è sempre meno capace di alfabetizzare, istruire, educare i propri studenti.
Insomma, si recide alla radice – con un singolare rovesciamento – la legittimazione degli insegnanti a parlare del proprio lavoro, da parte di chi si autoinveste dell’unica conoscenza autentica di tale lavoro, pur senza praticarlo. A meno che, ovviamente, gli insegnanti non si adeguino alle conclusioni di questi infallibili, astrattissimi esperti.
Scena 2
In quest’area culturale-pedagogica, lusingata dalle attenzioni che riceve e dallo spazio che le viene concesso, ci si guarda bene dal criticare anche gli aspetti peggiori delle politiche scolastiche portate avanti dal governo e in parlamento (ammesso che esista ancora questa distinzione), inclusa una tendenza alla privatizzazione dell’Istruzione (nuovo terreno di conquista, dopo la sanità), sponsorizzata da molti; anzi, con grande inventiva ed evitando le parole chiare e nette, si riesce a non mettere mai davvero in discussione queste politiche, se non per aspetti del tutto marginali. In fondo, visto da un’altra prospettiva e grazie a un approccio sofistico, tutto diventa giustificabile e giustificato: l’adozione delle “competenze non cognitive”, la Dad, la quadriennalizzazione delle scuole superiori, il caos prodotto da frettolose riforme della valutazione, la liquefazione dell’esame di Stato (e poi magari si scopre che, guarda caso, qualche esponente di rilievo di quest’area collabora attivamente con il ministero). Questa convergenza, ovviamente, non verrà mai ammessa in maniera esplicita, anche perché i progetti governativi sono di destra ultraliberista – da parte di autorevoli esponenti del governo la scuola diventa produzione di “competenze” del “capitale umano” per la “crescita economica” e le conoscenze “informazioni” facilmente reperibili nel web; oppure, nelle parole degli immarcescibili Aprea e Lupi, dell’intergruppo parlamentare per la “sussidiarietà”, le “competenze non cognitive”, tra cui l’ “adattabilità” e l’ “affidabilità”, dovrebbero spazzare via la “cultura del sapere e della conoscenza” -, mentre chi appartiene a quest’area ci tiene a dichiararsi di sinistra e con grande abilità cerca di far passare per inclusione la sottrazione di conoscenza e lo snaturamento del compito principale della scuola democratica, che sarebbe quello di promuovere l’emancipazione di tutti i futuri cittadini attraverso l’alfabetizzazione, la diffusione del sapere, una vita scolastica che è insieme educazione alla relazione e lavoro sui contenuti culturali in fecondo circolo virtuoso tra loro.
Fine del racconto.
Se questo quadro fosse vero, l’unico modo per riaprire il dibattito sulla scuola sarebbe uscire dalla confusione, districare questi paradossi e chiarire fino in fondo le proprie posizioni sul senso e le finalità della scuola pubblica. Ricominciare da qui, in modo disinteressato e onesto.
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Narcisismo pedagogico
L’idea di un’educazione scolastica separata dall’istruzione, di un’educazione che poggi su un vuoto pneumatico di conoscenza e di contenuti, così come quella di “competenze” separate dalla conoscenza, è talmente assurda e frutto di ignoranza anche psicologica che non dovrebbe necessitare di alcuna confutazione.
Il paradosso è che mentre si accusano gli insegnanti che vogliono dare conoscenze ai propri studenti, cioè che vogliono fare il proprio lavoro, di narcisismo, si diffonde un terribile narcisismo pedagogico, incurante della realtà, innamorato di se stesso e delle proprie teorie, che pur di avere ragione (e spazi assicurati da una politica che persegue gli stessi scopi) è pronto a spazzare via la scuola e la sua preziosa capacità di unire istruzione ed educazione, cultura e relazione umana, di cui i contenuti culturali a scuola sono il tramite privilegiato.
Importantissimo e altamente educativo che studenti e insegnanti si parlino, ma, se non si parte dai contenuti culturali, di cosa si parla esattamente, in un rapporto intergenerazionale straordinariamente significativo anche perché diverso dal legame familiare? Chi non ha capito quanto i legami scolastici – anche nel loro valore affettivo – si organizzino attorno al lavoro comune sui contenuti culturali e sull’apertura inedita alla realtà che essi permettono, non ha capito niente della scuola e della sua specificità.