
Se si riflette seriamente sulla scuola democratica ed emancipatrice, chiamata a istruire e ad aiutare a crescere tutti i futuri cittadini, ci si trova lontanissimi dalle formule più astratte, vuote e banalizzanti che circolano attorno alla retorica delle “competenze”, degli “ambienti di apprendimento innovativi”, di una presunta contrapposizione tra lezione ed esperienza (https://rivista.clionet.it/vol7/lezione-o-esperienza/) e di quell’autoritarismo che nella neolingua aziendalistica viene chiamato “autonomia scolastica”. Non a caso, gli slogan di un attivismo pedagogico ministeriale burocratizzato, separato dai suoi presupposti e dai suoi scopi e trasformato in ideologia totalitaria, convergono senza sforzi con quelle aziendalistiche delle soft skills, degli stakeholders, del lifelong learning, del middle management, del capitale umano, e servono a giustificare a posteriori lo smantellamento della scuola, la distruzione del potenziale rivoluzionario della cultura e la perpetuazione morta dell’esistente.
Il libro di Laval e Vergne, Educazione democratica, andrebbe letto da tutti gli insegnanti democratici come antidoto alle crescenti mistificazioni di certo para-progressismo sempre dalla parte del potere, collaterale al “clero ministeriale” e agli ambienti confindustriali, il cui intento principale sembra essere quello di svuotare la scuola pubblica di saperi, cultura, conoscenze, per interessi non sempre confessabili.
«Più ci si mantiene vicini all’esperienza sensoriale e sociale degli studenti, più [secondo Dewey] se ne facilita l’accesso alla conoscenza. Il dilemma qui è capire se, a forza di confondere l’esperienza sociale con quella scolastica, non si corra il rischio di svalutare le conoscenze scolastiche in ciò che esse hanno di specifico e formalizzato, e quindi di rendere meno comprensibile per ragazzi di umili origini ciò che devono imparare a scuola e che non possono imparare al di fuori. Infatti, appropriarsi dei saperi scolastici implica che si comprenda anche la necessità della distanza che esiste tra la realtà vissuta e la formalizzazione, sistematizzazione e progressione di tali saperi. A tal punto che occorre chiedersi seriamente se la democrazia scolastica non consista piuttosto nell’aiutare gli studenti a uscire dalle loro esperienze immediate per accedere alla ragione scritta, alla pratica riflessiva sulla lingua, alla cultura scolastica, a quello che Bernstein chiamava il ‘codice elaborato’, senza per questo che prevalga in essi un senso di alienazione. La difficoltà pratica dell’istruzione consiste quindi nel garantire che l’universo dei saperi, dei simboli e dei concetti costituisca oggetto di esperienze cognitive specifiche e interessanti in se stesse, senza essere immediatamente respinte come prive di interesse in quanto lontane dalla ‘vita reale’. È questa esperienza specifica dei saperi scolastici che permette allo studente di prendere le distanze dalla realtà sociale in cui è immerso. La scuola crea un mondo a sé, una vita a sé, e la questione sta tutta nel sapere quali legami si possono stabilire tra le esperienze specifiche che si possono fare a scuola e le sfide sociali e umane che possono legittimamente interessare gli studenti. Affermare che i saperi scolastici sono specifici ed eterogenei rispetto all’esperienza immediata non vuol dire infatti che essi non debbano essere esaminati a loro volta nel rapporto che hanno con l’esperienza individuale e sociale degli studenti. Niente sarebbe peggio che ricadere in una scolastica vana, come quella che Dewey e le diverse correnti dell’Educazione Nuova denunciavano. La questione pratica è, pertanto, stabilire se le conoscenze specifiche della scuola consentano o meno agli studenti di riflettere razionalmente sulla loro situazione reale di esseri umani nel mondo, in quanto persone che si trovano all’interno di una storia e di una società data, e che devono anche grazie all’istruzione avere la capacità di cambiarla, in altre parole essere soggetti della propria vita»
(Christian Laval, Francis Vergne, Educazione democratica. La rivoluzione dell’istruzione che verrà, Novalogos, 2022, pp 119-120).

Grazie della bella recensione per un libro che mi ha incuriosito.
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