
di Martin Venator
Viviamo in un tempo in cui la crescita non è più un processo ma un fastidio da evitare. Una società fondata sul mercato, sull’immagine e sulla velocità ha deciso che crescere è inutile, persino pericoloso. Meglio allora saltare a piè pari il cammino della maturazione e trattare i giovani come se fossero già adulti. Non per rispetto ma per interesse.
La scuola li valuta come adulti. La pubblicità li desidera come adulti. Il mercato li sfrutta come adulti. Ma nessuno dà loro ciò che rende veramente adulto un essere umano: la capacità di pensare in profondità, di orientarsi nel tempo, di convivere con il dubbio, di prendersi cura del mondo.
In questa trappola pedagogica i giovani rimangono incastrati: troppo responsabilizzati per poter sbagliare, troppo sedotti per poter scegliere, troppo soli per potersi opporre.
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1) La scuola come luogo di prestazione precoce.
La scuola non è più l’officina della formazione lenta dell’intelligenza e della coscienza. È diventata il primo luogo in cui si simula la vita adulta. Non si studia per diventare cittadini ma per essere competitivi. Le prove INVALSI, l’alternanza scuola-lavoro, i PCTO, i colloqui “motivazionali”: tutto parla il linguaggio dell’azienda. Gli studenti non sono più persone in formazione, ma “risorse umane in crescita”. A tredici anni si insegna loro a fare un CV. A sedici, li si manda a fare finti tirocini in aziende che li sfruttano come manodopera gratuita. A diciotto devono “orientarsi”, “essere proattivi”, “capire come vendersi”.
Ma quando hanno tempo per sbagliare, riflettere, scegliere? Chi insegna loro a conoscere sé stessi, il mondo, la storia, la giustizia? Nessuno. È troppo rischioso. Una coscienza critica può diventare un ostacolo alla produttività.
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2) Il marketing li tratta come adulti per farne clienti docili.
Il mercato ha capito una cosa fondamentale: i ragazzi sono adulti perfetti se restano eternamente immaturi. Non hanno potere ma hanno desideri. Non hanno mezzi ma hanno bisogni. Non hanno identità ma hanno brand. A dodici anni, una ragazza viene già martellata da pubblicità su cosmetici, abiti, profumi, integratori, trattamenti per il corpo. Le si dice che è “libera” se consuma come una donna. A quattordici anni un ragazzo deve già avere uno smartphone da 1000 euro, abiti firmati, una presenza social curata. L’autenticità è sostituita dalla performance estetica.
Essere adulti, in questo sistema, non significa saper amare, scegliere, dubitare, costruire. Significa avere potere d’acquisto. E se i soldi non li hanno loro li avranno i genitori – che spesso, presi dal senso di colpa cedono e comprano.
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3) I social media: la vetrina dell’adultizzazione precoce.
Sui social l’infanzia non ha più diritto di cittadinanza. A dieci anni si posa come influencer. A tredici si parla di “red flag”, “toxic people”, “soft skills”. A sedici si consuma pornografia in quantità industriali. Ogni emozione, ogni relazione, ogni passione viene filtrata da un’estetica adulta, iper-sessualizzata, performativa.
Il dolore adolescenziale non ha spazio. La rabbia viene ridicolizzata. Il silenzio viene ignorato. Non c’è tempo per essere confusi: devi avere un’identità da esibire. Ma crescere è esattamente il contrario: è il tempo in cui si è fragili, incoerenti, pieni di domande. È il tempo in cui si dovrebbe essere protetti dal giudizio, dal mercato, dall’immagine.
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4) Risultato: pessimi cittadini, ottimi clienti.
Questo meccanismo produce un doppio effetto micidiale:
- Da un lato impedisce la nascita del cittadino: colui che pensa, che ha coscienza storica, che si riconosce in una comunità, che sviluppa senso critico. L’educazione civica è ridotta a lezioni formali, scollegate dalla realtà. La politica è percepita come lontana, astratta. I problemi sociali vengono filtrati da meme, stories, indignazioni a tempo determinato.
- Dall’altro lato produce clienti perfetti: impulsivi, ansiosi, costantemente insoddisfatti, dipendenti dalla gratificazione immediata. Il giovane che si sente già grande, ma non ha alcun vero potere, è il bersaglio ideale: chiede senza sapere cosa vuole, consuma senza sapere perché, obbedisce senza accorgersene.
5) Un’educazione vera? Sarebbe rivoluzionaria.
Un’educazione autentica dovrebbe essere un percorso lento, difficile, ricco di inciampi. Dovrebbe insegnare la differenza tra bisogno e desiderio. Dovrebbe creare anticorpi contro la propaganda pubblicitaria. Dovrebbe restituire dignità al dubbio, alla fatica, alla solitudine del pensiero. Invece abbiamo creato un mondo in cui la crescita è un ostacolo alla produzione. Meglio giovani già adultizzati ma incapaci di agire. Meglio cittadini passivi, che si esprimono solo col portafoglio.
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6) Chi ha paura della giovinezza?
La giovinezza è pericolosa quando è vera: quando si pone domande radicali, quando contesta, quando cerca alternative. È per questo che il sistema la reprime mascherandola da maturità. Ma è una maschera vuota, una parodia dell’età adulta. Dare ai giovani il diritto di non essere ancora adulti significa dar loro la possibilità di diventarlo per davvero. Significa insegnare loro a desiderare con coscienza, a scegliere responsabilmente, a vivere con profondità. Solo in questo modo potranno smettere di essere consumatori di identità prefabbricate e iniziare a essere creatori di futuro.

Don Lorenzo Milani educava i ragazzi a diventare cittadini sovrani, ora si spingono ad essere clienti e consumatori.
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