Lo Stato dell’esame

Dunque, durante una settimana di orali ho raccolto classici come “l’ideale della cozza” e “La passeggiata nella pineta”, ma anche delle bellissime novità come “l’assassinio dell’arcivescovo Francesco Ferdinando a Sarajevo” e lo strepitoso “Il buio oltre la siepe” (ovvero “L’infinito” di Leopardi).

Ma vorrei essere chiaro. Nel ricordare questi errori non c’è da parte mia alcun intento denigratorio nei confronti degli studenti che, pur da commissario esterno, dopo qualche giorno sento già come miei studenti; anzi, provo per loro una certa simpatia (non ho dimenticato i miei, di strafalcioni da adolescente) e mi viene da sorridere di fronte all’inventiva chiamata a compensare i vuoti nella preparazione o a fare da scudo all’ansia.

Soprattutto, vorrei rovesciare l’argomentazione ormai sclerotizzata secondo cui gli strafalcioni degli studenti dimostrerebbero che l’esame è un rito ormai superato e inutile. A me sembra esattamente il contrario: imbattendosi in degli estranei che fanno notare loro (bonariamente, con il dovuto tatto) gli errori, faccia a faccia con degli insegnanti diversi da quelli a cui sono abituati, gli studenti prendono coscienza dei limiti della loro preparazione e scoprono cose di cui non sopettavano l’esistenza; ancor di più, capiscono che la cultura, anche all’esame, è dialogo, confronto, pensare insieme, qualcosa di molto diverso rispetto alle formule bignamizzate e astratte, oggi ricavate direttamente dall’Ai (le maschere di Pirandello, il pessimismo cosmico di Leopardi, il superuomo di D’Annunzio, l’iceberg di Freud [?]…), con cui credono di cavarsela, e su cui invece inciampano.

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Se qualche maturando ha cose interessanti da raccontarci o da mostrarci, ben venga: non faremmo gli insegnanti se non ci interessassero i vissuti degli studenti, compresi quelli che incontriamo per la prima volta, che diventano subito i “nostri” studenti. Ma per favore, pure il “capolavoro” promozionale obbligatorio su piattaforma, con tanto di “curriculum” e “portfolio” no, no e no!! Già dobbiamo sorbirci – senza nessuna colpa da parte dei ragazzi, beninteso, vittime anche loro della burocratizzazione dell’esame e dell’intero percorso scolastico – dei presunti e forzatissimi “collegamenti interdisciplinari” che servono più che altro a coprire la mancanza di conoscenze disciplinari approfondite, precondizione di qualunque interdisciplinarità.

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Da studenti che concludono un quindicennio o poco meno di istruzione, mi piacerebbe sentire cosa hanno imparato a scuola nelle diverse discipline scolastiche e non la ripetizione di formule su “life skills”, “assertività” e “spirito imprenditoriale” che arrivano dall’indottrinamento praticato, durante i PCTO, da qualche ex responsabile in pensione delle risorse umane nella filiale di una multinazionale statunitense.

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Due idee di “riforma” dell’esame molto pericolose per la scuola pubblica, forse non a caso elaborate da due dirigenti scolastici. La prima (https://www.facebook.com/share/p/1Y95xfLLXB/) lascia senza parole: nella sostanza potrebbe essere tradotta con un “se si va nella direzione sbagliata è bene accelerare, così non ce ne accorgiamo”. Sbalorditiva e paradossale anche l’argomentazione per cui sarebbe inutile incentrare l’esame sulle conoscenze, visto che sono state già verificate nel corso di cinque anni, salvo poi ritenere inutile l’esame visto che gli studenti non hanno abbastanza conoscenze…
Per quanto riguarda la seconda (https://www.facebook.com/share/p/15crZQhexy/ ): chi ci costringe ad accettare la sovrapposizione tra esami di quinto e test d’ingresso all’università? E, allo stesso modo, chi ci costringe a indurre i poveri studenti a inventare a tutti i costi dei collegamenti “interdisciplinari” tirati per i capelli, quei collegamenti che anche delle persone di ampia cultura farebbero fatica a stabilire, invece di dimostrare semplicemente di aver acquisito alcune conoscenze fondamentali in alcune discipline? Poi, certo, quelle conoscenze a volte possono essere messe in rapporto tra loro senza forzature da qualche studente particolarmente preparato…
Accade la stessa cosa nel “reclutamento” dei docenti: prima si inventano modalità di “selezione” barocche e ingiuste (dove chi paga o sa sfruttare meglio le occasioni forse ottiene qualcosa) che sostituiscono dei seri concorsi incentrati sulla preparazione disciplinare e didattica; poi, di fronte a un sistema sempre più assurdo e inefficace, basato sulla compravendita dei “CFU” e su quiz a crocette da bignami del buro-pedagogese, si invoca la “chiamata diretta” da parte dei dirigenti e simili (cfr. https://nostrascuola.blog/2022/03/31/no-alle-crocette-si-al-concorso-pubblico-una-proposta-per-il-reclutamento-degli-insegnanti/).

L’impressione è che anche nel caso dell’esame di Stato si svuoti e si boicotti per abolire: chi ci impedisce, altrimenti, di restituire coerenza e sensatezza, e dunque valore, ai percorsi di istruzione pubblica, esami compresi? Le proposte che vengono formulate qui invece aumenterebbero ancora – in un circolo vizioso – l’irrilevanza del percorso scolastico, ridotto a “certificazione di competenze” sempre più vuote e prive di sostanza, e porterebbe dritto dritto all’abolizione del valore legale del titolo di studio. L’effetto sarebbe quello di inchiodare ciascuno alla condizione socio-economico e culturale di partenza e sottrarrebbe ulteriore potere trasformativo ed emancipativo, esercitato attraverso la straordinaria leva dell’istruzione, alla scuola pubblica e democratica. Certo, ci si risparmierebbe la fatica di insegnare, e l’investimento necessario a farlo per tutti…

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Oggi in quinta, alla ricerca di percorsi interdisciplinari non pretestuosi in vista dell’esame, notavamo che il “terrore da ubriaco” che si proverebbe nel caso miracoloso in cui si potesse intravedere per un momento “il nulla alle mie spalle, il vuoto/dietro di me”, oltre il velo di Maya delle apparenze e del fenomeno, potrebbe far pensare a “L’urlo” di Munch. Certo, il fatto che Montale parli di miracolo toglie a quel terrore parte della sua connotazione negativa, così forte invece in Munch; viene piuttosto da pensare alla vertigine del sublime (e qui gli agganci con Kant e con il Leopardi de “L’infinito” non mancano). Quasi scontato, ovviamente, il riferimento a Schopenhauer.

Se poi pensiamo che nel Montale degli Ossi il superamento del muro del fenomeno è un’aspirazione impossibile (da qui il “miracolo”, da qui il “forse” con cui inizia la poesia e l’uso del tempo futuro), potremmo immaginare un legame con il concetto matematico di asintoto…

Ecco, mentre facevamo questi ragionamenti, pensavo a una cosa: come potremmo tentare dei collegamenti interdisciplinari se gli studenti non sapessero chi sono Munch, Kant, Schopenhauer e Leopardi, o non conoscessero il concetto di asintoto? Lo chiederei a chi squalifica le conoscenze, magari proprio in nome di una confusa idea di “interdisciplinarità” che si baserebbe sul nulla, o su fantomatiche “competenze trasversali”, che è lo stesso, o peggio.

2 pensieri riguardo “Lo Stato dell’esame

  1. Questo articolo mi fa finalmente sentire meno solo.

    Ho combattuto anch’io per anni una inutile (e anche pubblica) battaglia contro il feticcio diseducativo delle tesine interdisciplinari. Ho perso. Ero isolato. Guardato come un patetico Don Chisciotte. Leggevo tesine che titolavano: “Relativismo e relatività tra Pirandello e Einstein” (!); oppure “La resistenza, tra lotta partigiana, corpi non conduttori e resilienza morale”. Inorridivo, ma soltanto io. Tutti gli altri, per fede o per quieto vivere, tacevano e ubbidivano e assecondavano l’andazzo. Quando nel 2019 le tesine vennero abolite ero già in pensione, ma mi illusi di aver ottenuto un riconoscimento morale postumo. Sbagliavo. Perché le tesine scritte erano morte sì, ma il loro spirito trionfava, permeava adesso di sé tutto il nuovo orale dell’esame. Temo che quella che io chiamo la “didattica dello spiedino”, quella interdisciplinarietà fasulla e mentecatta che viene altrimenti ma perfettamente stigmatizzata in questo articolo, non morirà mai. Grazie

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