Programmare in minoranza?

Non è un paradosso che vi sia una libertà di insegnamento costituzionalmente garantita e, allo stesso tempo, l’obbligo di “programmare” questo stesso insegnamento in un modo stringente deciso da altri? Come si fa ad avere libertà di insegnamento – ovviamente entro i limiti posti da alcune indicazioni nazionali – e contemporaneamente dover programmare quel lavoro non come lo farebbe chi lo programma, ma come lo farebbe qualcun altro? Partiamo da più lontano.


C’è una certa tendenza comune, in tutte le mode del didattichese, alla sostituzione, allo scambio: tra fini e mezzi (“nuove metodologie”, “nuove tecnologie”, considerate buone in funzione di quel nuove e non della loro validità culturale ed educativa), tra forma e sostanza, tra concretezza e astrattezza, tra semplicità e complessità.


La complessità dovrebbe essere quella dell’insegnamento, della lezione e del rapporto con la classi: è complesso e poco prevedibile in anticipo ciò che accade nello scambio con gli studenti, che richiede da parte dell’insegnante lo spessore umano e culturale indispensabile a cogliere le occasioni educative che nel corso dell’anno, o della singola lezione, si presentano; richiede prontezza ed “esprit de finesse”.

Invece la programmazione dovrebbe essere semplice e lineare: dopo tutto si tratta di un canovaccio di contenuti e di metodi, il cui sviluppo va poi portato avanti in classe.
Ora, cosa succede? Seguendo tutte le mode e tutti i conformismi, le programmazioni diventano un’inutile piramide di tecnicismi astratti, griglie, improbabili ed acrobatici salti tra “abilità” e non meglio definite “competenze”, cui si affiancano sempre più timidamente delle tenui conoscenze. Ora, poi, si cerca di imporre un’unica programmazione per consiglio di classe, come se ogni disciplina non facesse caso a sé e non richiedesse le proprie modalità di condivisione, come se le forme a priori metafisiche e universali del didattichese si applicassero ugualmente a tutto e cancellassero contenuti e specificità disciplinari.


Stiamo dicendo che non si deve programmare? No, tutt’altro: è importante invece che ogni insegnante programmi – perché l’insegnamento non può essere soltanto improvvisazione – anche per chiarirsi le idee (magari attraverso un confronto di esperienze con i colleghi) e avere una traccia lungo cui muoversi; ma siccome è lui/lei a dover programmare perché è lui/lei che poi dovrà lavorare sulla base di quanto programmato, questa traccia deve essere il più possibile personalizzata, essenziale, semplice e flessibile, rispondente al lavoro che davvero ha intenzione di portare avanti e aperta a quello che poi succederà davvero in classe. Unico limite, come già detto, dovrebbe essere quello di indicazioni (se non programmi minimi) nazionali, capaci di fissare alcuni punti fermi indispensabili, lasciandone poi la realizzazione alla bravura dell’insegnante, bravura di cui il sistema dovrebbe fidarsi, grazie a un reclutamento motivato e culturalmente sensato, e non identificata e verificata ex post con la costrizione burocratica.


Invece, come accade in molti ambiti, la complessità inutile e fine a se stessa, con i suoi vuoti tecnicismi, viene fatta entrare a forza là dove non occorrerebbe, come puro esercizio di potere. Cosa fa infatti l’insegnante costretto a programmare – man mano che le mode cambiano – per “unità didattiche”, poi per “unità di apprendimento”, poi “per competenze”, poi per “moduli” e così via? Si adatta, scopiazza, fa entrare quello che vorrebbe fare davvero in griglie barocche e arrampicate su un delirio classificatorio sempre più dettagliato, che sembra voler astrarre su carta l’intero universo del possibile, delega a dipartimenti e a esperti, si uniforma, con il senso di colpa di non aver capito quello che sta succedendo e di non essere all’altezza di presunti ‘programmatori’ professionali. Ed ecco che senza accorgersene è stato espropriato del suo lavoro e ha rinunciato a un suo diritto: quello di fare una programmazione a sua misura – e naturalmente a misura dei ragazzi con cui si trova a lavorare – per poi applicarla alle situazioni concrete che affronta con le sue capacità, con tutto il suo bagaglio umano e culturale, con la sua esperienza didattica ed educativa. In termini tecnici, potremmo chiamarla alienazione: lo strumento, invece di aiutare l’insegnante nel suo lavoro, diventa un ostacolo e una minaccia su cui l’insegnante stesso non ha più nessuna forma di controllo.

In questo modo in realtà si punta a fare dell’insegnante un mero esecutore (o magari un somministratore di pacchetti didattici digitali preconfezionati): l’esatto opposto di chi, per mandato costituzionale, dovrebbe mostrare come si esercita la libertà del pensiero attraverso le conoscenze, i loro fondamenti epistemologici, i metodi conoscitivi – “l’arte e la scienza” dell’articolo 33 della Costituzione – e cosa con tale libertà si può realizzare in termini di comprensione e interpretazione personale della realtà.


Ora, una cosa che pochissimi dicono, proprio perché fa venire fuori il paradosso creato dal binomio libertà di insegnamento-programmazione standardizzata, è che proprio perché l’insegnamento è libero, esiste la cosiddetta “opzione di minoranza” all’interno del collegio docenti: ogni insegnante, cioè, può rifiutarsi di insegnare attraverso metodi, modalità, strumenti definiti da altri, e nessuno può imporglieli.


Non a caso, quando qualcuno deve spiegare ai dirigenti scolastici come imporre una programmazione dall’alto, si trova in imbarazzo e ha bisogno di arrampicarsi sugli specchi per aggirare la questione della libertà di insegnamento (ne è un esempio quest’articolo, che riporto perché non è uno dei peggiori e dice comunque cose interessanti:
https://it.pearson.com/istituzioni/scolastiche/vademecum-dirigenti-prefazione/basi-autonomia-scolastica-liberta-insegnamento.html).


Insomma, informiamoci sulla possibilità dell’opzione di minoranza – inserisco qui qualche riferimento in proposito – e facciamola valere. Riprendiamoci finalmente il nostro lavoro.
http://www.giornale.cobas-scuola.it/pecore-nere/

https://genitoreattivo.wordpress.com/2019/10/24/la-mozione-di-minoranza/

http://www.cesp-pd.it/spip/spip.php?article1755

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