E se, per esempio, ci lasciassero insegnare?

Un brevissimo apologo. Qualche anno fa, nella scuola dove mi trovavo, c’era un gruppo di professoresse in pensione che, da volontarie, insegnavano l’italiano agli studenti stranieri. Non parlavano di competenze, di obiettivi formativi, di BES o di DSA, di nuove metodologie o di nuove tecnologie, di PEI o di PTOF. Sapete che facevano? Insegnavano benissimo l’italiano agli stranieri e loro lo imparavano. Tutto qui.
Cosa voglio dire? Prevengo subito un’obiezione: non mi interessa minimamente, in questo momento, discutere la questione del volontariato a scuola o del ‘missionarismo’, né ho intenzione di fare un’esaltazione del lavoro non retribuito; voglio solo dire che quando c’è la voglia di insegnare, unita a preparazione, esperienza e talento (che d’altra parte servono in ogni professione, e non si vede perché non dovrebbe essere così anche nell’istruzione/educazione, nell’ambito cioè in assoluto più importante e delicato per qualunque società che guardi al proprio futuro), e soprattutto non ci sono tutti i vincoli burocratici che hanno fatto diventare il nostro lavoro un monumento al vuoto e una sorta di labirinto senza senso e senza scopo, l’insegnamento, nella sua sostanza, ritorna a essere una cosa abbastanza semplice, realizzabile, utile.
Se ci fosse la volontà di restituire davvero forza educativa alle scuole infatti succederebbe più o meno questo: si prenderebbe atto del fatto che gli studenti stanno regredendo all’analfabetismo e si direbbe “fermi tutti: basta con le chiacchiere, le ‘abilità e competenze’, le programmazioni, i PTOF, i PDP, i PAI, i PIA, i progetti, i verbali, i moduli, il ‘successo formativo’, l’ ‘imparare a imparare’, la ‘didattica inclusiva e cooperativa’, la ‘proattività’, l’ ‘innovazione’, la flipped classroom, il ‘cooperative learning’, l’ ‘interdisciplinarietà’, le ‘competenze trasversali’, l’educazione civica, i PCTO. Adesso basta! Insegnate di nuovo a leggere e a scrivere a questi ragazzini, usate tutto il tempo che avete per insegnargli il significato delle parole, una per una (in tutte le discipline, ovviamente); poi, quando sono rialfabetizzati, ne riparliamo”. Invece questo continuare ad aggiungere confusione a confusione, didattichese a didattichese, sempre nuovi mattoni a un edificio insensato che poggia sul nulla, è il segno che non si vuole minimamente salvare la scuola, anzi, la si vuole smantellare facendo finta di propiziarne le magnifiche sorti e progressive. Complicare inutilmente ciò che è semplice (che nel caso del rapporto educativo non vuol dire poco profondo o alla portata di tutti), renderlo vuoto, macchinoso e astratto attraverso un linguaggio pseudo-tecnico autocompiaciuto e autoriferito, che non ha più alcun legame con realtà, d’altra parte è stato sempre un modo per esercitare per via burocratica un potere fine a se stesso e per uccidere ogni bene sostanziale.

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