‘Recovery plan’, o della scuola totalitaria

Confrontate le “proposte” fatte da Anp a maggio per la ripresa della scuola in presenza (in realtà per la “scuola del futuro”) da una parte e il documento di indirizzo del Ministero dell’Istruzione e la bozza del ‘Recovery plan’ riguardanti la scuola dall’altra (sono riportati tutti a fondo pagina) e cercate le differenze. Non ne troverete. Troverete invece:

1) La formazione e il reclutamento degli insegnanti non sono più fondati sulla conoscenza e sui contenuti culturali ma su “nuove metodologie didattiche” e “nuove tecnologie digitali”. Il che cosa e il come dell’insegnamento vengono decisi esclusivamente da una tecno-burocrazia ‘superiore’ (ministeriale? d’istituto? aziendale? Già, perché l’ingresso dei privati nella scuola viene dato per scontato). L’insegnante diventa la rotella di un ingranaggio manovrato integralmente da altri; chi non si adatta e ha un’idea dell’insegnamento diversa da quella di moda in quel momento non può nemmeno pensare di avvicinarsi a questo lavoro;

2) Viene creato un “middle management” stabile che collabora con il dirigente e soprattutto “supporta” gli insegnanti (detta in parole povere, i sottocapi sorvegliano affinché gli altri insegnanti facciano esclusivamente quello che viene loro detto di fare);

3) Del principio costituzionale della libertà di insegnamento non rimane nulla. Da intellettuale e professionista che porta avanti dei progetti culturali ed educativi in linea con indicazioni nazionali adattate ai propri studenti, alla realtà in cui si trova a operare e alle proprie finalità didattiche, l’insegnante viene ridotto a fantozziano esecutore di ordini e passacarte di “sistemi” didattici preordinati e preconfezionati (alla faccia, tra l’altro, della sbandierata “centralità dello studente”), oggetto degli unici obbligatori ‘aggiornamenti’ e basati inevitabilmente su “didattica per competenze” e “digitale”, con un’inversione paradossale per cui i mezzi – utili se e quando servono per insegnare, trasmettere le conoscenze e i contenuti culturali – vengono imposti a priori e diventano essi stessi l’unico contenuto della didattica. In questo contesto totalitario, che ignora le smentite della realtà (la prima delle quali è il dilagare dell’analfabetismo tra i nostri studenti, da quando la retorica delle ‘competenze’ ha preso il posto dell’insegnamento e della trasmissione della conoscenza), gli stessi organi collegiali della scuola vengono svuotati di ogni potere di controllo.

Chiediamo che questo approccio antidemocratico e anticostituzionale all’istruzione venga immediatamente modificato e che il rilancio della scuola passi attraverso decisioni condivise con gli insegnanti, attraverso un dibattito pubblico – o Stati generali della Scuola – che rimedi agli errori del passato ed eviti quelli forse ancora più gravi del presente.

https://nostrascuola186054220.wordpress.com/2020/09/19/insegnare-in-una-scuola-orwelliana-la-proposta-di-anp-riccamente-annotata/

https://www.miur.gov.it/documents/20182/0/m_pi.AOOGABMI.Registro+Decreti%28R%29.0000002.04-01-2021.pdf/ae043ea2-8130-e3a4-f7ee-0a3bf096f01f?t=1609786965292

Per chi volesse visionare e firmare la nostra petizione per il superamento dell’autonomia, il link è questo:

http://chng.it/gGZqG7HCGd

oppure

https://www.change.org/p/oltre-l-autonomia-per-una-scuola-democratica-dei-saperi

Questo è il testo della petizione:

PER UNA SCUOLA DEMOCRATICA DEI SAPERI

PREMESSA

Venti anni di ‘riforme’ della scuola hanno trasformato quello che Calamandrei considerava un “organo costituzionale” fondamentale della democrazia – un sistema di istruzione nazionale capace di formare futuri cittadini colti e consapevoli – in un apparato burocratico fine a se stesso, incentrato su logiche di potere e dinamiche aziendalistiche, che sta smarrendo progressivamente ogni funzione educativa e culturale. In particolare, il sistema dell’ ‘autonomia’, introdotto con il ministero Berlinguer, ha aperto la porta al superamento dell’orizzonte nazionale del sistema educativo e a un’assurda ‘concorrenza’ tra istituti; l’ex preside, ora ‘dirigente scolastico’, si è ritrovato a essere non più il garante dei compiti educativi della scuola, cioè di quella che dovrebbe essere l’unica finalità di un’istituzione pubblica e nazionale, ma il capo di un’azienda interessato unicamente alla sopravvivenza dell’azienda stessa; gli insegnanti, non più elemento portante di un’unica Scuola, ma impiegati delle singole scuole, hanno visto progressivamente ridursi la loro libertà di insegnamento prevista dalla Costituzione – che era tutelata dall’esistenza di programmi nazionali basati sui contenuti e non sui metodi dell’insegnamento, cosicché ogni insegnante poteva rielaborare, attualizzare, adattare tali contenuti alle esigenze e alla preparazione dei propri studenti – in nome di un’uniformità metodologica basata su un’imparaticcia, burocratica ‘didattica per competenze’ e sull’assunzione acritica di mode didattiche culturalmente scadenti e uniformanti, nonché sul valore salvifico di ‘nuove tecnologie’ comunque utilizzate, non più utili strumenti di cui servirsi quando occorrono ma elevate – con un clamoroso scambio mezzi-fini – a contenuto stesso della didattica. Il POF, ora PTOF, a sua volta, trasforma gli istituti in progettifici che hanno al centro non il valore culturale ed educativo delle singole discipline – non a caso svalutate e snaturate in una confusa idea di ‘interdisciplinarietà’ – ma progetti che dovrebbero rendere l’istituto appetibile per un’ ‘utenza’ di potenziali clienti (gli studenti, in quest’ottica, non sono più persone da far crescere e da educare nella loro dimensione integralmente umana, ma utenti, con le famiglie che diventano clienti da accontentare). In vista della realizzazione del PTOF, gli insegnanti vengono chiamati a svolgere principalmente mansioni impiegatizie, a dedicarsi prioritariamente non alla trasmissione di contenuti culturali, cioè all’insegnamento, ma alle mansioni burocratiche connesse alla gestione degli ‘utenti’ (va da sé che questo snaturamento del ruolo dell’insegnante rende superflua qualunque seria riflessione sulle modalità del reclutamento, che dovrebbe essere volto a far entrare in classe persone dalla solida preparazione, motivate e adeguate al delicatissimo compito di far crescere umanamente e culturalmente le nuove generazioni). 

Nella logica dell’ ‘autonomia’, la legge 107 del 2015 a sua volta ha rafforzato i poteri del Dirigente, introdotto un’alternanza scuola-lavoro che squalifica battaglie decennali per assicurare alle persone in crescita uno spazio formativo privo di incombenze lavorative, e un ‘potenziamento’ che spezza il legame fondamentale tra insegnante e classe e rende l’insegnante un lavoratore generico utilizzabile per qualunque mansione.

Di recente poi, in occasione dell’emergenza pandemica considerata come un’ ‘opportunità’, l’Associazione nazionale presidi (ora “Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola”) ha lanciato un’inquietante proposta di ulteriore riforma della scuola – che chiuderebbe il cerchio delle riforme precedenti -, incentrata sull’idea di attribuire un potere pressoché assoluto alla figura del Dirigente-manager attorniato da un ‘middle management’ che ne trasmetta e ne realizzi le volontà; rispetto a tale figura tutti gli altri attori della scuola diventerebbero dei meri esecutori: nella proposta Anp si chiede infatti di svuotare dei poteri di controllo gli organi collegiali della scuola e, contemporaneamente, di attribuire ai dirigenti un’autonomia ancora maggiore rispetto allo stesso Ministero dell’Istruzione. In questo modo verrebbe portata a compimento la trasformazione di quello che era il Preside, chiamato ad armonizzare professionalità, saperi e sensibilità diverse all’interno dell’istituzione scolastica, in un ‘dominus’ incontrollato e incontrollabile, anche per quanto riguarda le scelte sui contenuti, sui metodi e sugli strumenti della didattica, in palese contrasto con il principio costituzionale della libertà d’insegnamento e con quella che dovrebbe essere la dimensione nazionale del nostro sistema educativo.

[Per le ‘richieste’ di Anp, si legga qui: https://nostrascuola186054220.wordpress.com/2020/09/19/insegnare-in-una-scuola-orwelliana-la-proposta-di-anp-riccamente-annotata/ %5D

Ora infine, nella proposta di indirizzo del Ministero dell’Istruzione e nella bozza del ‘Recovery plan’ riguardante la scuola, il governo propone di investire le risorse provenienti dall’Unione Europea 1) nella creazione di quello stesso ‘middle management’ chiesto da Anp nel documento sopracitato e che, si legge nella bozza, dovrebbe ‘supportare’ gli altri insegnanti nel loro lavoro (cioè fare in modo che lavorino secondo tutti i dettami del didattichese); 2) in un sistema di reclutamento/formazione/aggiornamento degli insegnanti incentrato su corsi che abbiano come contenuto un’ ‘innovazione’ basata inevitabilmente su ‘nuove metodologie’ e ‘nuove tecnologie’: come si diceva sopra, a proposito della proposta di Anp che qui viene sostanzialmente ricalcata, è un approccio che prescinde totalmente dai contenuti e dalle conoscenze, ignora di nuovo il principio costituzionale della libertà di insegnamento e impone metodi e strumenti preconfezionati e standardizzati, la cui scelta non è più nelle mani degli insegnanti. Da utili mezzi da usare se e quando occorrono, ‘nuove metodologie’ e ‘nuove tecnologie’ diventano l’unico fattore della selezione e della formazione dei docenti, non più professionisti, intellettuali ed educatori, ma burocrati e impiegati chiamati ad applicare passivamente ciò che viene deciso altrove.

[Per la bozza del ‘Recovery plan’ riguardante la scuola, si legga qui: https://nostrascuola186054220.wordpress.com/2021/01/13/recovery-plan-o-della-scuola-totalitaria/

Per la ricostruzione accurata e dettagliata dello snaturamento operato sul nostro sistema scolastico da decenni di ‘riforme’ si legga l’ottimo saggio di Lucia R. Capuana, ‘Trent’anni di riforme neoliberiste contro la scuola pubblica’, disponibile a questo link: 

https://lrcapuana.com/trentanni-di-riforme-neoliberiste-contro-la-scuola-pubblica/ %5D

PETIZIONE

I sottoscrittori di questa petizione pensano che la strada da intraprendere sia esattamente quella opposta, e che per un autentico rilancio della scuola sia necessario porre al centro gli insegnanti, con la loro autorevolezza culturale, la loro preparazione, le loro qualità umane e la loro autonomia intellettuale, uniche garanzie di un’educazione degli studenti pluralistica, sostanziale, ricca e variegata.

Chiedono pertanto: 

1) Il superamento del sistema dell’ “autonomia scolastica” (così come è andato configurandosi negli ultimi vent’anni – si vedano i riferimenti normativi riportati in appendice) che ha prodotto innumerevoli distorsioni nel sistema educativo del nostro Paese. In questo modo si libererebbe il capo di istituto da incombenze burocratiche e gestionali che nulla hanno a che fare con la didattica e si realizzerebbe un modello di scuola realmente democratica e nazionale nei contenuti, nelle finalità e negli obiettivi, dove le esigenze specifiche del territorio vengano recepite in termini educativi e didattici dal Collegio docenti e dai singoli insegnanti, nell’ambito delle loro prerogative, senza il bisogno di ‘progetti-vetrina’ da utilizzare come strumenti di un’assurda “concorrenza” tra istituti. Alcune attività fondamentali, ad esempio quella dello sportello d’ascolto psicologico o quella della mediazione linguistica, anziché dipendere da progetti più o meno validi, più o meno estemporanei adottati dai singoli istituti, dovrebbero entrare a far parte stabilmente dell’offerta del sistema scolastico nazionale, attraverso bandi pubblici e ricorso agli albi professionali in caso di necessità riconosciute dal Collegio docenti;

2) L’elezione del capo d’Istituto da parte del Collegio docenti o, comunque, modalità di scelta di un preside-insegnante che sia una figura di garanzia, di sintesi e di unità del corpo docente, che conosca le dinamiche dell’educazione e della trasmissione culturale. Si chiede in pratica il superamento della figura del dirigente d’azienda indiscutibile e dai poteri illimitati, lontano da quelle che sono le uniche finalità che giustificano l’esistenza della scuola, quella educativa e quella culturale.

Un obiettivo di questo tipo, com’è facilmente intuibile, può essere realizzato solo attraverso una profonda trasformazione del sistema scolastico in senso nazionale, richiede tempi lunghi, un totale ripensamento – da cominciare già in questa legislatura – del sistema dell’ ‘autonomia’ e la tutela dei diritti già acquisiti;

3) Per l’immediato, la convocazione degli “Stati generali della scuola”: è infatti indispensabile, a questo punto, che le decisioni che riguardano il futuro della scuola siano prese democraticamente, coinvolgendo tutte le componenti di questa vitale istituzione, attraverso una discussione pubblica, e non nelle stanze chiuse del Ministero, di associazioni come Anp che non possono avere nessun potere ‘speciale’ rispetto alle altre associazioni che rappresentano i lavoratori della scuola o di Fondazioni private, che rappresentano appunto interessi privati e non pubblici, più o meno qualificate che siano ad occuparsi di queste tematiche. 

In particolare, è necessario un grande confronto democratico sulle autentiche finalità della scuola, sulla tutela della libertà di insegnamento, sulle commistioni pubblico-privato nel sistema scolastico, sulla questione cruciale delle modalità di reclutamento degli insegnanti, e che porti a individuare una strategia di investimenti sul breve, sul medio e sul lungo periodo, basata sulle vere priorità della scuola, in modo da evitare sprechi e clamorosi errori. Puntare prioritariamente sulla “Didattica a distanza” significa ad esempio incoraggiare una metodologia d’emergenza – che non può avere alcun senso e nessuna validità educativa in tempi normali – anziché cominciare a risolvere problemi strutturali, primi fra tutti quello del sovraffollamento delle classi e della fatiscenza di molti edifici scolastici. Allo stesso modo, finanziare istituti come quella dell’Invalsi significa continuare a sottrarre risorse all’istruzione pubblica, senza che si sia mai posta con trasparenza la questione dell’utilità, della validità e del senso didattico, pedagogico e culturale delle operazioni compiute dall’istituto; cosa su cui, incredibilmente, non si sente mai la necessità di ascoltare chi nella scuola ci lavora tutti i giorni. 

Ecco, un confronto franco, libero e aperto su queste tematiche, che coinvolga insegnanti, dirigenti, intellettuali, genitori, studenti, è a questo punto improcrastinabile, poiché questo è il momento di prendere decisioni che segneranno il futuro della nostra scuola.


Normativa di riferimento:

per l’abolizione (o superamento) dell’autonomia scolastica: 

L. 59/97 (cosiddetta legge Bassanini) – Capo IV, art. 21, comm. 1 e 3 (introduce la competizione tra scuole e apre agli stakeholder del territorio);
DLGS 59/98 – Art. 25 (assegna qualifica dirigenziale ai presidi e introduce il concetto di valutazione e rendicontazione);
D. P. R. 275/99 – Art. 3 (introduce il POF, la scuola diventa un’azienda con offerta formativa da proporre a studenti-clienti);

per INVALSI: 

DLGS 258/1999 – l’originario CEDE (Centro europeo dell’educazione istituito nei primi anni ‘70 viene trasformato in Istituto Nazionale di Valutazione del sistema educativo di istruzione: INVALSI)
DLGS 286/2004 istituisce il Servizio Nazionale di Valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (SNV), nonchè riordino dell’omonimo istituto, a norma degli artt. 1 e 3 della L. 53/2003 che all’art. 3 ne definisce i compiti;
L. 296/2006 (Finanziaria 2007) art. 1, comm. 610-613 che istiutisce, presso il Ministero della pubblica istruzione, ai sensi degli artt. 8 e 9 del DLGS 300/99 la “Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica”;
DLGS 213/2009 Riordino Enti di Ricerca (governo rimette di nuovo mano alla normativa)
D. P. R. 80/2013 emana il “Regolamento sul Sistema Nazionale di Valutazione in materia di istruzione e formazione”, l’SNV valuta l’efficienza e l’efficacia del sistema educativo di istruzione e formativo.

DLGS. 29/93 – modifica stato giuridico dei docenti assimilando questi all’intero comparto della Pubblica Amministrazione (si perde il ruolo che trasforma il contratto di lavoro in contratto a tempo indeterminato, si inserisce nella riforma che trasforma il rapporto di lavoro con lo Stato, prima disciplinato dal diritto pubblico, ora da quello privato). Gli effetti di questa riforma hanno anche ripercussioni economiche in quanto, agganciando le retribuzioni dei docenti al tasso di inflazione programmato, ne abbassa anche i livelli stipendiali. Anche l’abolizione dello scatto di anzianità biennale rientra in questa logica e acuisce il rapporto gerarchico tra dirigenti e docenti.

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