Fate parlare gli insegnanti, per una volta

L’opinione pubblica non ha sempre le idee chiare sui veri motivi del degrado della scuola: qualcuno ricorda quella che ha frequentato a suo tempo e non sa quali siano i cambiamenti intervenuti da quel momento in poi, parecchi se la prendono con gli insegnanti, qualcuno inneggia al ministro Bianchi, che almeno vorrebbe “fare qualcosa” per “modernizzare” un’istituzione “rigida”: disaggregare i gruppi-classe, far entrare ulteriormente le aziende nel contesto scolastico e “rimodulare” i tempi del calendario, costringere finalmente gli insegnanti ad ‘aggiornarsi’, introdurre un uso intensivo delle tecnologie informatiche, valorizzare le “competenze” del “capitale umano”, mettere in “collegamento” mondo della scuola e mondo del lavoro.

Ciò che purtroppo sfugge a gran parte dell’opinione pubblica, che non vive la realtà scolastica dall’interno, è che lo sfascio della scuola non è dovuto a una sua presunta obsolescenza, ma a vent’anni e più di scellerate “riforme” che hanno smantellato ciò che funzionava dell’istruzione pubblica e le hanno sottratto progressivamente sostanza, sostituita da burocrazia e para-aziendalismo, tanto che gli insegnanti sono costretti a passare gran parte del loro tempo e a spendere le loro migliori energie a “certificare” anziché a insegnare. L’errore prospettico è molto grave, perché porta a non cogliere i veri termini del problema e a scambiare per soluzioni interventi (come quelli che ha in mente il ministro Bianchi, o meglio gli ambienti che rappresenta) che vanno esattamente – e forse intenzionalmente – nella direzione opposta rispetto a quella che sarebbe necessaria.

Molti insegnanti invece hanno ben chiaro cosa occorrerebbe per rilanciare la scuola; è quello che abbiamo scritto nel “manifesto” riportato nel link (https://nostrascuola186054220.wordpress.com/2021/03/20/manifesto-per-la-nuova-scuola/), sottoscritto da alcuni tra i maggiori intellettuali italiani, da Alessandro Barbero a Gustavo Zagrebelsky. C’è un’evidenza che dovrebbe far interrogare tutti: perché nei discorsi mediatici sul futuro della scuola si sente la voce di ministri, sottosegretari (che magari non sanno distinguere Topolino da Dante), politici di vario genere e natura, imprenditori, portavoce confindustriali d’alto bordo, dirigenti scolastici (o meglio, sempre e solo i loro ‘rappresentanti’, cioè i capi di un’associazione privata come Anp), molto più di rado quella di genitori e di studenti, e non si sente MAI la voce degli insegnanti? Forse perché gli insegnanti, che ciò che non va nella scuola lo conoscono per esperienza diretta, chiederebbero prima di tutto lo smantellamento del carrozzone burocratico che essa è diventata, con annessi interessi economici che le ruotano intorno, e seri investimenti volti a far sì che la scuola ricominci a svolgere l’unico compito che le è affidato dalla Costituzione, cioè istruire ed educare le nuove generazioni.

Paradossalmente, nel discorso pubblico, la colpa del degrado viene addossata proprio agli insegnanti, e non a quelle disastrose “riforme” che hanno sottratto ogni centralità all’ora di lezione, soffocata dalla riduzione della scuola a pratica burocratica, a “certificazione delle competenze”, a vuota incombenza, perdita di tempo e adempimento del nulla, tanto più astratto e formalistico quanto meno gli studenti imparano davvero, mentre vengono abbandonati a un sostanziale analfabetismo. Sembra poi che agli insegnanti, ridotti a una funzione impiegatizia, non si vogliano lasciare più il tempo, gli stimoli e la serenità per coltivare interessi culturali (che so, leggere e studiare, banalmente), base indispensabile di ogni insegnamento, al di là dell’imposizione di ‘metodi’ standardizzati e della retorica degli ‘aggiornamenti’ con le slide, fatti di banalità non di rado culturalmente e didatticamente nulle. D’altra parte, diventa abbastanza inutile interrogarsi sul ‘come’ insegnare se non c’è prima un ‘che cosa’ che valga la pena insegnare.

Nonostante tutto ciò, moltissimi docenti continuano a svolgere con amore il proprio lavoro, tra mille difficoltà che sembrano create ad arte per impedirglielo; altri sono stanchi e demotivati, soprattutto a causa di queste difficoltà, sfiancati da richieste burocratiche quasi sempre insensate; e mai, tra l’altro, si sono individuate modalità coerenti per assicurare un ricambio della classe docente basato su un reclutamento di qualità, culturalmente fondato, e non su uno scambio politico alla ricerca di facili consensi. Nella narrazione anche giornalistica che viene fatta, purtroppo, si scambiano gli effetti con le cause; le prime vittime insieme agli studenti di un degrado progettato a tavolino ne vengono indicati come i responsabili, in un perfetto delitto mediatico.

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