Lettera dall’Università

Riceviamo da un docente universitario e pubblichiamo

Signor ministro,
in quanto professore universitario, dovrebbe sapere bene che la differenza enorme che c’è tra Istruzione e formazione è la stessa che c’è tra un popolo di cittadini e un popolo di risorse umane, tra una società in cui le decisioni vengono prese considerando il bene della società e una in cui vengono prese in base alla convenienza economica di pochi, tra un Paese a cui interessa il futuro dei giovani e uno che ha deciso di scegliere il collasso economico e sociale, tra un’idea di istituzioni che tutelano la libertà di pensiero e una di istituzioni orwelliane, tra valori fondati sullo sviluppo della persona e borsa valori.

È incredibile che un professore universitario, un appartenente a quella categoria di servitori dello Stato e delle istituzioni che è preposta a garantire lo sviluppo, la conservazione e la trasmissione della cultura e la tenuta della democrazia, sostenga in buona fede che a Scuola non si faccia altro che “accumulare conoscenze” (come se una affermazione del genere, che svaluta le conoscenze accomunandole alle informazioni, potesse avere senso), rischiando così di convincere le famiglie dei contesti sociali più deboli del fatto che la cultura sia un disvalore e sottraendo loro, con iniziative anticulturali e di un classismo mai visto prima in Italia, patria da un secolo dell’Istruzione statale di élite di massa e del diritto allo studio, l’unico mezzo che hanno, una Scuola profondamente fondata sullo studio di sistemi di discipline e capace di dare a tutti la possibilità di avere un futuro migliore e di costruirsi opportunità vere, per offrire ai loro figli condizioni di vita migliori.

Sarebbe rara dabbenaggine, se non pura malafede, confondere i semplici strumenti tecnologici messi a disposizione dalle tecnologie dell’informazione con qualcosa che possa avere valore metodologico e strumentalizzarli per privare i più poveri del diritto allo studio, del diritto ad avere aule accoglienti e insegnanti preparati e capaci, e buttare soldi pubblici in tecnologia inutile anziché investirli in concorsi più seri e selettivi incentrati sulla preparazione disciplinare degli aspiranti docenti e maggiori riconoscimenti per gli insegnanti tutti, e in edilizia scolastica.

È deleterio svuotare la Scuola della sua funzione, che è permettere agli studenti di diventare cittadini colti e critici attraverso lo studio, per ridurla da istituzione centrale dell’Istruzione a qualcosa che invece è proprio della formazione professionale. È deleterio propugnare l’applicazione di risultati della pedagogia validi solo per la formazione professionale all’Istruzione, perché in contrasto con gli obiettivi e la stessa natura di questa; per non parlare del fatto che questo stato di cose priva i maturi delle basi essenziali per poter frequentare l’Università con successo e delle basi culturali minime necessarie a vivere la propria vita di cittadini.

È forse questo lo scopo delle sue recenti esternazioni, peraltro scorrelate dalla realtà fattuale? Non è possibile pensare che lei abbia dei motivi per favorire lo smantellamento di ciò che resta dell’ascensore sociale, né che abbia ricevuto il mandato (e da chi?) di impedire che tutti possano avere una Istruzione che li metta in grado di diventare buoni cittadini in grado di contribuire al futuro del Paese e di crearsi condizioni di vita migliori. Significherebbe ingannare le famiglie, facendo loro credere che per i loro figli un po’ di sterile e caduco “saper fare” arrabattato alla bell’e meglio vale di più di una solida cultura, e produrre un corpo elettorale incapace di comprendere le proposte politiche e quindi un popolo di “risorse umane” incapaci di democrazia.

Cui prodest?

Da un ministro della Repubblica, da un professore universitario, da un rappresentante delle istituzioni il Paese si aspetta la difesa della Cultura, la difesa dell’Istruzione, la difesa della democrazia.

Ci dica, per favore, che abbiamo frainteso le sue esternazioni e i suoi atti.

5 pensieri riguardo “Lettera dall’Università

  1. Queste parole sono un balsamo sulle mie ferite. Docente di lettere in un liceo scientifico, dopo 27 anni ho abbandonato l’insegnamento perché non potevo più sopportare le continue pressioni orientate a un sostanziale tradimento della ‘mission’ didattico-educativa che mi ero data: quella di promuovere, attraverso la cultura, la capacità del singolo alunno di esprimere le proprie migliori potenzialità, rapportandosi alla realtà esterna in modo consapevole attraverso un’adeguata percezione di sé e delle complesse dinamiche che regolano le nostre vite.
    Io, che nello studio ho trovato anche un’occasione di riscatto dalla mia condizione di svantaggio sociale, non potrò mai rassegnarmi ad una scuola falsamente inclusiva, caratterizzata da dinamiche al ribasso ormai fuori controllo.

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  2. È la lettera che avrei scritto anch’ io al nostro Ministro, come insegnante della scuola primaria che quest’anno, dopo 30 anni di insegnamento, ha lasciato quella che, fino ad un certo punto, è stata la sua seconda casa.

    Dai primi anni di frequenza scolastica, bambini e docenti sono sottoposti a un progressivo e sempre più intollerabile svuotamento di significato del loro essere a scuola e delle loro reciproche relazioni.
    Le competenze, sin dalla prima classe, ormai incombono e vanno valutate (mentre, con non poca fatica, gli alunni imparano a scrivere a leggere e ad operare con i numeri entro il 20!)
    Un progetto di dissoluzione ed impoverimento della scuola pubblica iniziato anni fa e che ora giunge al suo obiettivo: far della scuola l’ ancella dell’ economia ( come scordare le tre i) e delle sue richieste. Che peccato mortale!

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