
Di Edoardo Puglielli
Con molto ritardo è stato proclamato lo sciopero della scuola. La proclamazione ha acceso qualche polemica, e ha stimolato anche tante critiche da parte del personale. Questo era prevedibile. La piattaforma rivendicativa è infatti minimalista. E non affronta il problema centrale della crisi della scuola pubblica italiana, il problema politico, che finalmente è esploso.
Molti colleghi, ad esempio, stanno facendo notare che nella piattaforma non vi è alcun cenno al ricatto fondi pnrr in cambio delle cosiddette “7 riforme”, tra cui quella dell’obbligatorietà della formazione in servizio (formazione su metodi, metodi, metodi, digitale, digitale, digitale, kompetenze, kompetenze, kompetenze) e, peggio ancora, la “riforma della didattica”, che prevede l’introduzione obbligatoria di – ancora una volta – determinate metodologie (attive, interattive, ecc.) perfino nella secondaria.
Altri fanno notare che la piattaforma non contrasta il progetto di regionalizzazione (a cui il governo nel frattempo sta lavorando), né il finanziamento pubblico della scuola privata (che continua a crescere), né il ripristino del grande taglio-gelmini (che nessun governo successivo ha mai preso in considerazione), né la scuola-sempre-più-azienda, né la concorrenza fra scuole, né l’offerta formativa subalterna alle richieste dell’organizzazione flessibile del lavoro precario e intermittente, né la scuola-progettificio, né l’ipotesi di differenziazione gerarchica del personale, ecc. Altri ancora sottolineano che nella piattaforma non c’è nulla che contrasti la cosiddetta “innovazione” a tutti i costi e l’accelerazione sulle kompetenze di subalternità, nulla che difenda e rilanci il disciplinarismo e la scuola della Costituzione, nulla che metta seriamente in discussione la stagione (ormai trentennale) della “sperimentazione continua dei disastri annunciati”.
Quelli con coscienza politica più solida, infine, ribadiscono che nella piattaforma manca l’unica vera priorità della scuola pubblica: la fine della autonomia scolastica e l’abolizione di tutte le “riforme” dal 1997 ad oggi (tutto quello che è stato elencato sopra, infatti, è conseguenza dell’autonomia).
Ora, io condivido e sostengo tutte queste osservazioni e tutte queste critiche. Se la scuola deve continuare ad essere scuola, e non deve trasformarsi in generico centro per l’aggregazione giovanile, in generico luogo di socializzazione per giovani culturalmente subalterni e kompetenti, in centro di formazione di forza-lavoro a basso valore aggiunto e ideologicamente integrata nell’ordine del discorso dominante, c’è bisogno di mettere definitivamente in discussione l’autonomia scolastica e di intraprendere un percorso di lotta per la sua abolizione.
Tuttavia, questa non costituisce una ragione valida per non sostenere lo sciopero. Anzi! Nella piattaforma, anche se “minimalista”, c’è, tra le altre cose, un punto che forse è il più importante: la difesa e il rinnovo del contratto collettivo. Il contratto collettivo è l’ultimo elemento di unione e di forza che abbiamo, e, in quanto tale, va difeso in tutti i modi dalle aggressioni che continua a subire. Tutto il resto di cui si è detto sopra è ugualmente importante. Anzi, è il cuore politico della crisi della scuola italiana. E finalmente se ne sta prendendo coscienza. Bisogna ora socializzarlo, farlo uscire dai corridoi e dalle telefonate, e bisogna portarlo nelle assemblee, nelle riunioni che stiamo facendo, nelle camere del lavoro e nelle sedi sindacali e politiche, nei movimenti dei disoccupati, dei precari e degli studenti. E farlo crescere. Perché riguarda veramente tutti, riguarda il presente e soprattutto il futuro.
Aderite e partecipate allo sciopero.