Ripensare la valutazione?

di Renata Puleo

Propongo alcune riflessioni a margine di due incontri il cui tema ruotava attorno alla valutazione “descrittiva-formativa-educativa” al cui nucleo sta l’eliminazione del voto numerico come misura, voto che ritorna, per obbligo giuridico, nella valutazione intermedia e finale, nonché con le somministrazioni rituali delle prove INVALSI (Assemblee pubbliche rispettivamente all’IC Iqbal Masih e all’IC Di Donato di Roma: registrazione personale del primo; su canale youtube il secondo Scuola e Valutazione, organizzato da <<Apriti Scuola>>). 

Poiché dell’oggetto degli incontri ho parlato e scritto con altri (https://www.roars.it/voto-si-o-voto-no-e-questo-il-problema/), richiamo solo una questione, mentre dedico qualche parola alle prove INVALSI, vero e proprio convitato di pietra dei due incontri.

Chiamare le cose con il loro nome

Come ormai si sa, dato il clamore mediatico (https://video.corriere.it/scuola/liceo-senza-voti-senza-stress-ecco-come-funziona-morgagni-roma/2e23ca92-7623-11ed-8b31-7101dab59dee#:~:text=Il%20liceo), l’esperienza Scuola delle relazioni e delle responsabilità, è stata avviata in un ciclo/classe (non tutto l’istituto) al Liceo Morgagni di Roma. Riprendo alcune perplessità su questa esperienza che, con qualche tratto di arroganza, e forse un po’ di buona fede ed entusiasmo, è stata definita sperimentazione. La scuola italiana è solita usare impropriamente questa definizione ogni qual volta si mette mano a una qualche innovazione, a un cambiamento organizzativo e/o didattico, pur in assenza dei requisiti tipici del metodo della ricerca, anche per gli studi di caso, per i cosiddetti semilavorati e l’indagine qualitativa. Nel caso di cui parlo rilevo: 1. mancanza di un’ipotesi frutto dall’osservazione di uno o più fenomeni complessi (giudizio valutativo, misura/conteggio su scala, impatto sulla motivazione e adesione al compito degli attori implicati nel processo insegnamento/apprendimento) da cui si evinca che il voto è la causa probabile dei guasti relazionali nella relazione insegnanti/alunni, è fattore ansiogeno e stressante capace di ostacolare l’apprendimento; 2. assenza di un campione e di un gruppo di controllo, o quanto meno di un campo di studio circoscritto e/o della indicazione di un’osservazione partecipata; 3. nessuna definizione di un tempo di prova e verifica di attendibilità/falsificazione dell’ipotesi, di analisi dei risultati di qualità, e dunque nessuna presa d’atto degli errori di percorso e riformulazione dell’ipotesi. Un qualche approccio di questo tipo si sta, forse,  effettuando presso la cattedra di Docimologia e Metodologia della ricerca del Professor Guido Benvenuto (Università La Sapienza di Roma) che segue il lavoro del Morgagni ma, da alcuni suoi interventi e dalla bibliografia dedicata emergono solo “spunti di riflessione” e suggestioni, certamente utili, ma che tali restano sul piano della  “validità e accertabilità”, soprattutto se ci si colloca nel campo della ricerca educativo-pedagogica che dovrebbe accompagnare l’esperienza del Morgagni (G. Benvenuto Mettere i voti a scuola: Introduzione alla docimologia Carocci, 2003; id Stili e metodi della ricerca educativa Carocci, 2015). Pertanto, siamo in attesa, al di là delle dichiarazioni dei protagonisti, di qualche relazione approfondita sul rapporto fra voto numerico e ansia dello studente (e chissà, fra lezione/interrogazione/tema tradizionale ed esercizio di potere soverchiante da parte dell’insegnante sull’alunno passivizzato…)

Valutare con i numeri:1/5   

Durante i due incontri su citati, Il professor Cristiano Corsini  (cattedra di Pedagogia Sperimentale Università Roma3), che più di altri è impegnato a dare sostegno all’esperienza, ha citato, anche su sollecitazione di chi scrive, il ruolo che in tutto questo valutare in stile democratico, è giocato dall’INVALSI. L’Istituto segna il percorso scolastico dalla primaria alle superiori con tappe valutative ineludibili, basate su test standardizzati per le discipline considerate apicali (per il lavoro, per la scuola, per la vita, secondo l’ordine dettato dall’istituto su modello OECD-PISA), censuari, con misura 1/5 e certificazione finale delle competenze (DM 742/2017 art4 cc2,3) a cui uno studente del liceo può accedere grazie a un badge (compare un esagono con un termometro che misura a quanto ammonta la temperatura degli apprendimenti conseguiti!). 

Mi soffermo su due affermazioni del professore Corsini: 1.da anni è in atto una distorsione ad opera della dirigenza dell’INVALSI consistente nell’applicare la valutazione degli apprendimenti come misura dell’efficacia/efficienza del sistema scuola. Solo quest’ultima sarebbe la sua missione, considerato che il test non può dare informazioni sul singolo alunno, avendo tra l’altro, carenze sul piano della validità e dell’affidabilità (a cura di C. Corsini Rileggere Visalberghi Quaderni di Ricerca Ed Nuova Cultura, 2018; intervista/video a Tecnica della Scuola: https://www.tecnicadellascuola.it/le-prove-invalsi-lesperto-di-valutazione-corsini-nulla-in-contrario-ma-non-sono-prove-di-competenza); 2. tale distorsione si deve anche ad una sorta di nuovo corso della filosofia dell’istituto inaugurato dall’attuale staff dirigenziale. Provo a ribattere. 

1. Ripercorrendo la normativa sulla valutazione istituzionale, a diverso livello gerarchico delle fonti, tutto porta ad un’altra lettura: la missione fondamentale dell’INVALSI è la verifica degli apprendimenti e solo in via laterale il loro utilizzo – molto eventuale – per capire come funziona il sistema-scuola nel suo complesso, insomma la parte per il tutto. Un tutto che è fatto di infrastrutture, edifici, dimensioni degli istituti scolastici, ubicazione territoriale, rapporti con gli EELL, reclutamento, formazione dei dirigenti e dei docenti, definizione degli organici, ecc. Di questo l’INVALSI raccoglie solo qualche traccia  dai questionari sul retroterra degli istituti scolastici compilati da dirigenti, alunni, insegnanti, genitori (e dai Rapporti di Autovalutazione). Indagando le fonti giuridiche, troviamo: il DPR 80/2013  (Regolamento Del Sistema Nazionale di Valutazione, impugnato dal sindacato Flc/CGIL, segretario nazionale Domenico Pantaleo, in prima istanza per violazione di diritto il 13/09/2013 e per motivi aggiunti il 14/11/2014); la legge 107/2015; il Decreto Legislativo 62/2017. Lo stesso Statuto dell’NVALSI, ente di diritto pubblico, redatto nel 2017 come da riforma della Pubblica Amministrazione,  all’art.5 c1. sancisce fra i compiti l’attività di tipo psicometrico per il perfezionamento delle prove e il coordinamento metodologico per le scuole. Un parere legale, espresso il 21/11/2018, dal prof Francesco Bilotta (Dipartimento Scienze Giuridiche dell’Università di Udine) su richiesta della professoressa Rossella Latempa (redazione rivista ROARS) annotò la netta propensione dell’INVALSI verso la ricerca e la sperimentazione dei test, anche per le soft skills (con tanto di effetti di violazione delle norme del Dlgs 33/2013 sulla trasparenza e segretezza dei dati raccolti). Se ne evince che il cuore dell’attività dell’INVALSI è la valutazione standardizzata degli apprendimenti con relativi riflessi sulla didattica e dunque sulla libertà d’insegnamento. Tale istituzionalizzazione dell’attività censuaria sugli apprendimenti potrebbe anche arrivare a vulnerare la validità del titolo di studio conferito dalle scuole, proprio perché le valutazioni dei docenti risulterebbero  schiacciate nella loro soggettività dalla presunta oggettività delle risultanze dei test (come pretende del resto l’ANP, l’associazione dei Dirigenti Scolastici: https://www.orizzontescuola.it/anp-chiede-abolizione-valore-titolo-di-studio-diploma-in-4-anni-e-commissioni-esterne-per-esami-di-stato/)

2. Sul punto di vista espresso dal professor Corsini circa la causa della distorsione di cui su, provo a ricordare un significativo episodio. Paolo Mazzoli, Direttore dell’INVALSI per 6 anni, il 30 dicembre 2013 firmava con altri un singolare Avviso Pubblico. Una cordata della scuola per il nostro INVALSI: un Promemoria non richiesto per il nuovo Presidente. Chiaro effetto della lotta intestina che si stava svolgendo al cambio della Presidenza, il documento stigmatizzava “L’attenzione esclusiva e pressante – in questi ultimi anni – verso le sole prove standardizzate”,  la necessità “di ridimensionare l’enfasi sul peso delle prove”, di cui si mettevano in luce i problemi di validità segnalati dal Professor Corsini, nonché la loro pressante periodicità. Ma la sostituzione al vertice fra Paolo Mazzoli e Roberto Ricci (già Responsabile Area Prove) , non hanno mai costituto né un tentativo di cambiamento di rotta verso la sola valutazione di sistema, né di prospettiva sull’uso e sull’impatto nelle scuole delle prove. Tanto è vero che lo stesso Mazzoli si è sempre mantenuto ben saldo sulle sue iniziali convinzioni sull’uso dei test. Lo si evince dal suo editoriale di saluto (https://www.invalsiopen.it/6-anni-invalsi-cosa-ho-imparato/) e dal suo convinto appoggio a una sperimentazione sulle soft skill in bambini di cinque anni (Cristina Stringher, INVALSI Assessment to Learning to Learn in Early Childhood: an Italian Framework in Italian Journal of Sociology of Education 8/2016) che il Ministero, con rara mossa di buon senso, bloccò quando già lo staff dell’Istituto aveva mandato avviso alle scuole dell’Infanzia perché aderissero (carteggio scambiato dal 4 ottobre 2018 al 16 maggio 2019 fra la Direttrice Generale Dipartimento MIUR  Maria Assunta Palermo e il gruppo di ricerca INVALSI) .  

Gli altri 

Circa l’appassionato intervento del Professore Enzo Arte che anima l’esperienza del Liceo Morgagni, si può dar conto appunto della passione che non voglio sminuire. Ma dell’attivismo in salsa Dewey-Milani poco si è inteso dal punto di vista delle scelte didattiche, come ha notato un ex Dirigente Scolastico in un intervento finale. Quanto a Christian Raimo per comprendere la sua passione e il suo patire rappresentati dai toni fra l’aneddotico e l’espressionistico, serve leggere la recensione del filosofo Marco Maurizi sul suo ultimo libro, scrupolosa e micidiale. (https://www.sinistrainrete.info/societa/24455-marco-maurizi-l-invasione-degli-ultra-pedagogisti.html?highlight=WyJtYXJjbyIsIidtYXJjbyciLCJtYXVyaXppIiwibWFyY28gbWF1cml6aSJd).

Conclusioni

Come forse è chiaro sono convinta che, in tutto questo gran parlare dei voti numerici, ci si situi sul semplice piano del buon senso senza che le cosiddette buone pratiche si facciano modello esportabile tout court. Giorni fa circolava nel web una vignetta che recitava più o meno così “Se il Capo ti dice bravo, lavori meglio”: ovvero, non c’è persona al mondo che in un rapporto asimmetrico, come lo è necessariamente, per luogo e funzione, per età e per dotazione di saperi quello fra insegnante e alunno, non cerchi lo sguardo approvante o di ausilio dell’Altro. Del resto, lo si è visto con la grancassa apertasi dopo l’emanazione dell’ordinanza 172 del 4 dicembre 2022 e delle relative Linee Guida sull’introduzione della valutazione a 4 giudizi discorsivi nella primaria: poco nulla può cambiare nelle classi dei più piccoli se gli insegnanti ne fanno un fatto esclusivamente burocratico e poco modificano il modo di relazionarsi con colleghi e creature piccole, di organizzare il lavoro pedagogico-didattico. Soprattutto se lavorano in classi troppo numerose, se sono precari, se sono schiacciati da burocrazia e verticismo dirigenziale.  

Tutto ciò lo ha capito il ‘meritevole e interventista Ministro Valditara: la sperimentazione-no-voto, non ha le caratteristiche per disturbare il manovratore. 

(22 marzo 2023)

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