La scuola e i processi evolutivi dell’adolescenza

Spunti di riflessione emersi durante i gruppi psicologici dell’associazione La nostra scuola, rielaborati da Luca Malgioglio (insegnante) e Alessandro Zammarelli (psicologo clinico, psicoterapeuta, psicoanalista SIPre – Società Italiana di Psicoanalisi relazionale)

Quello che ha fatto tanto soffrire gli adolescenti durante il periodo del lockdown è stata la mancanza della possibilità, nel passaggio evolutivo fondamentale che caratterizza questa età, dello spostamento dal ‘dentro’ del mondo e delle relazioni familiari al ‘fuori’ del gruppo dei pari. La funzione del gruppo dei pari è fondamentale, perché nei coetanei l’adolescente può guardare dall’esterno e comprendere negli altri, rispecchiandosi in loro, le stesse dinamiche che vive confusamente all’interno e a cui cerca di dare faticosamente un senso. Un adolescente cui questo ‘fuori’ venga impedito, viene bloccato nel suo normale sviluppo evolutivo, con le dinamiche depressive che ne conseguono.

Allo stesso tempo, per le persone in crescita, è fondamentale il ritrovarsi in un contesto esterno che educhi attraverso regole sensate e motivate, di cui i giovanissimi possano riconoscere la giustezza (anche quando le trasgrediscono, il che li porta a chiedersi: “Perché non riesco a rispettare una regola che riconosco di buon senso e che gli altri rispettano senza difficoltà”?): questa possibilità di avere confini e limiti fa diminuire l’angoscia, rassicura e apre spazi alla libertà di pensare.

In questo, la funzione delle figure adulte è fondamentale. I ragazzi, nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza, sono chiamati per proprio compito evolutivo a rinegoziare i limiti, in virtù dello spostamento della loro attenzione da un contesto quasi esclusivamente familiare a un contesto di gruppo esterno. Questa necessità di rinegoziare i propri limiti si associa a una necessità di sperimentare ed esplorare il mondo. Teniamo presente che i cambiamenti biologici, fisiologici e ormonali operano un cambiamento nell’immagine di sé: non si è più bambini e non si è ancora adulti. In questa nuova veste è comprensibile che il giovane, in un nuovo ambiente, il sociale, tenti di forzare regole, limiti e convinzioni comuni. Ed è un bene, almeno fino a che questa sperimentazione non diventa distruttiva. Proprio per questo, nella fase di crescita adolescenziale, occorrono adulti consapevoli capaci di osservare i giovanissimi con attenzione, discrezione e rispetto, sapendo cioè quando è il momento di intervenire e quando è giusto lasciar vivere loro le esperienze. La capacità di distinguere i due momenti non è data a priori, si costruisce con il tempo e l’esperienza e non è facile da apprendere.

Se esiste una regola, per quanto giusta, l’adolescente tenterà di forzarla, anche semplicemente per accertarsi di persona della sua validità. Per un adolescente che si interroga sulla vita, sul destino, sul futuro e sul passato in modo nuovo, tutto deve essere testato personalmente. Noi lo osserviamo da lontano, mentre talvolta va leggermente fuori strada, e lo osserviamo mentre soffrendo riprende la via; interveniamo se la macchina ha perduto il controllo. È molto più difficile osservare la crescita dalla giusta distanza che intervenire sempre e comunque: l’osservazione attenta ma rispettosa richiede infatti che l’adulto abbia a sua volta elaborato i propri contenuti interiori e i suoi conflitti. Osservare da lontano non significa però sparire, abbandonare; significa essere più che presenti, e quando questo avviene i ragazzi lo sanno, lo sentono.

ln questo senso il rapporto con gli insegnanti è benefico di per sé e indispensabile alla crescita, visto il bisogno di bambini e adolescenti di trovare figure di riferimento adulte positive al di fuori delle dinamiche familiari; il che non significa che gli insegnanti debbano assumere la funzione di psicoterapeuti, cosa che non possono e non devono fare, per non alimentare la confusione di ruoli e non essere risucchiati in dinamiche che non hanno gli strumenti per gestire (infatti, visto l’aumento di casi gravi di disagio, gli psicoterapeuti dovrebbero esserci sempre in tutte le scuole, in una giusta divisione dei ruoli); però gli insegnanti, entrando in relazione con i giovanissimi, divenendo un punto di riferimento importante, attraverso regole motivate e la proposta di conoscenze che aiutino a pensare, danno agli studenti una possibilità indiretta ma preziosissima di elaborare le proprie dinamiche interiori entro dei limiti dati, che facciano diminuire l’angoscia della confusione. La relazione con il gruppo dei pari e quella intergenerazionale con adulti esterni alla sfera familiare, veicolata dal lavoro comune su conoscenze e contenuti culturali significativi, sono entrambe fondamentali in queste fasi di crescita e di passaggio.

A fronte di queste riflessioni si capisce meglio che quello di cui si parla tanto, il presunto potere educativo degli “ambienti di apprendimento innovativi”, – che sembra attribuire agli oggetti con cui ci si dovrebbe relazionare caratteristiche umane, come avviene nella schizofrenia – così come un “apprendimento autonomo” che lascia i giovanissimi da soli con se stessi (fino ai deliri sulla didattica incentrata sui visori e il multiverso), e ancora l’incredibile formula delle “competenze non cognitive”, che propongono un paradossale percorso inverso a quello di ogni psicoterapia (che consiste invece nel diventare progressivamente consapevoli delle proprie emozioni e dei propri vissuti interiori), sono i segni di un sistema adulto profondamente malato, che è disposto a sacrificare al profitto (perché soprattutto questo c’è dietro la retorica degli “ambienti di apprendimento innovativi”) le esigenze della crescita e la salute mentale dei giovanissimi.

2 pensieri riguardo “La scuola e i processi evolutivi dell’adolescenza

  1. Molto affascinante questa analisi. Condivido la tesi di fondo sugli ambienti di apprendimento innovativi , così come sulla didattica delle competenze che tende a negligere le conoscenze ed i processi di auto consapevolezza.

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