La finta questione del voto

di Silvia Elena Di Donato

In merito al dibattito sull’abolizione del voto provo a contribuire con qualche riflessione.

A me sembra che l’obiettivo vero a cui dall’alto mirano sia affidare la valutazione ad enti certificatori esterni ed arrivare alla abolizione del valore legale del titolo di studio, con tutto quello che questo implica a livello sociale, politico e culturale… Per questo è in atto da tempo una propaganda subdola a cui si prestano in troppi, più o meno consapevolmente, per vari scopi anche personali, e che sfrutta strumentalmente a questo fine anche le fragilità dei ragazzi, da ascrivere a ben altre ragioni e non certo al voto, e con costante velenosa delegittimazione in sottotraccia dei docenti.

Non credo che il passaggio dai decimali ai livelli sia la via giusta per rendere più efficace il lavoro dei docenti, né per sviluppare maggiore consapevolezza e motivazione negli studenti. Per lo meno nella scuola secondaria di seconda grado, che costituisce il perimetro della mia esperienza. Del resto, tutte le ricerche pedagogiche in merito, da quanto ho verificato, sostengono che la motivazione allo studio c’entri poco o nulla con il voto; dunque perché concentrarsi sull’eliminazione del decimale se si ritiene che non sia l’elemento determinante? La valutazione formativa non è certo automaticamente garantita dall’uso di rubriche, livelli, colloqui o registri specifici, né è automaticamente impedita dall’uso dei decimali. La questione attiene invece, a mio avviso, a “come” il docente adopera qualsivoglia tipologia di valutazione e ciò non può che risiedere nella deontologia professionale e non negli strumenti. La valutazione è sempre formativa e sempre così l’ho intesa ed usata nel corso della mia carriera da insegnante, così come ha fatto e fa la quasi totalità dei miei colleghi. Il decimale in itinere relativo alle prestazioni è sempre accompagnato da una griglia di valutazione con descrittori chiari, relativi a conoscenze e processi, e da un momento di colloquio di restituzione; il decimale sommativo di fine periodo non è mai una media matematica da bilancino, è invece corredato di un giudizio esplicativo e motivato che considera non solo le singole prestazioni, ma il profilo generale dello studente, i progressi, i processi, le disposizioni ad agire. Dunque, il voto non è né un “atto violento”, né un “esercizio di potere”, come purtroppo ho sentito sostenere da taluni che si occupano di valutazione da cattedre universitarie senza, forse, aver mai impastato il pane quotidiano dell’apprendimento tra i banchi con e per i ragazzi. Spiace, inoltre, constatare come a volte certe posizioni tendano subdolamente ad alimentare una narrazione distorta del lavoro e della (in)adeguatezza degli insegnanti.

Se negli studenti c’è ansia da prestazione, essa è dovuta al fatto in sé che ci sia una valutazione, non alla tipologia di valutazione; dunque, per aiutarli davvero a maturare e a gestire l’emotività non serve, a mio parere, sostituire i numeri con i livelli, ma occorre seguire altre vie ben più efficaci per accompagnarli in un percorso di consapevolezza e crescita personale.

Resta allora una questione: quale paradigma di riferimento vogliamo interpretare e fare nostro? Io credo che ogni docente debba scegliere da sé, innanzitutto perché l’arte e le scienze sono libere e libero ne è l’insegnamento, in secondo luogo perché per i ragazzi è una enorme ricchezza sperimentare e confrontarsi con diversi modelli d’insegnamento, e in ultimo perché penso che non ci sia un paradigma in assoluto migliore di un altro, se non quello del profondo amore e della passione verso la conoscenza, verso i propri studenti e verso il proprio lavoro.

Pochi giorni fa ho letto il post di un preside che sostiene che l’idealtipo del docente sapiente è anacronistico; in un altro post, un altro preside sosteneva che è errata l’idea che un docente debba “solo” insegnare (virgolettato mio); leggo alcuni che pontificano dalle loro cattedre e dai corsi di formazione contro le conoscenze e in favore delle competenze (ma attenzione che siano le soft skills!), contro il voto e in favore di una valutazione formativa con feedback (Che scoperta! Come se noi docenti attualmente valutassimo lanciando i dadi!), e via dicendo con roba di questo genere… A me, francamente, sembra che tutto questo sia fuffa, ma fuffa pericolosa, volta a disinnescare gli effetti dell’istruzione pubblica e di qualità aperta a tutti, così chi ha mezzi propri può istruirsi in canali elitari e chi non ne ha resta svantaggiato e privo di reali opportunità. E la cosa più triste è che molti sostenitori di queste “posizioni innovative” si richiamano al valore dell’inclusione e magari si sciacquano pure la bocca citando Don Milani.

3 pensieri riguardo “La finta questione del voto

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