Scuola è vita

[Ripubblico questa nota per smentire la narrazione secondo cui gli insegnanti dovrebbero essere “formati” ogni volta da zero, come una tabula rasa, e perché l’invasione degli ultra-formatori legata al PNRR può allontanare ulteriormente la scuola da se stessa]

Mi scuso per la nota personale. Sono entrato a scuola grazie a due concorsi ordinari [ora tre], ho frequentato la SSIS e due corsi di perfezionamento annuali post lauream in didattica della lingua e della letteratura italiana, insegno da ventiquattro anni, dieci dei quali, dopo il ruolo, li ho passati nella scuola media, dodici in istituti tecnici. Per molti anni sono stato responsabile della prevenzione del disagio giovanile nella mia scuola, coordinando uno sportello d’ascolto psicologico gestito con grande bravura e passione dallo psicoanalista Alessandro Zammarelli.
Il dottor Zammarelli ha aiutato ragazzini che praticavano atti autolesionistici come il tagliarsi o il ferirsi, che avevano vissuto esperienze devastanti e dipendenze di ogni tipo, che avevano subito gravi violenze fisiche e psicologiche, che vivevano in contesti familiari spaventosi; abbiamo collaborato con la giustizia per allontanare definitivamente figure abusanti dai ragazzi.


Sono quasi venticinque anni che passo tutte le giornate con i miei studenti, nel fango come sulle cime insieme a loro; ne ho visti – a centinaia, forse a migliaia, ormai – crescere, e trovare lentamente la loro strada; ho toccato con mano il loro bisogno di confronto con gli adulti, la loro disperata ricerca delle parole, le loro paure, le loro angosce, i loro silenzi, la loro inesauribile curiosità, la loro simpatia e generosità, la loro voglia di vivere, le loro infinite domande sul significato del proprio stare al mondo, quelle a cui solo le parole e l’essere parte di una comunità umana e culturale – attraverso il confronto con gli altri e quello guidato con le infinite esperienze di altri esseri umani che si sono fatte storia e cultura – possono aiutare a cercare risposta, senza sentirsi troppo soli.
Infine, posso dirlo? Non tutti, ma ci sono tanti colleghi che lavorano di più e meglio di me: da loro – oltre che da decenni di studio, di esperienze e di scoperte – ho imparato molto di quello che so; da loro continuo a imparare ogni giorno qualcosa e scopro di nuovo in quale altro modo si può insegnare, arricchire e qualche volta cambiare la vita dei nostri studenti.

Ora, arrivano persone nate baroncini universitari, portaborse per tradizione familiare, manager aziendali, promoter di “classi 4.0”, lobbisti, burocrati carrieristi o “esperti” di ogni sorta che non hanno mai messo piede in una classe e che pensano di conoscere i ragazzini – pieni come sono di astratta ideologia – e il mondo dell’istruzione, qualcuno per aver letto o aver scritto qualche libro (secondo la logica rovesciata per cui, se riuscissi a farmi pubblicare un libro di astrofisica, diventerei per ciò stesso un esperto in materia); persone che, leggendo il nostro manifesto (https://nostrascuola.blog/2021/03/20/manifesto-per-la-nuova-scuola/), sentenziano (non si sa su che base, per un tic che ormai non passa nemmeno più per il pensiero) che abbiamo in mente solo il liceo classico (!), che vogliamo la scuola gentiliana, la scuola per pochi, che vogliamo l’insegnante con la predella: questo solo perché vogliamo continuare a istruire, a far pensare e a far crescere tutti i nostri studenti in un ambiente protetto e con degli adulti che si prendano davvero cura di loro, a partire dall’alfabetizzazione fino all’acquisizione di conoscenze fondamentali e allo sviluppo di tutte le loro capacità umane, in uno spazio pubblico e democratico riservato solo a questo. Ci sarebbe da sbellicarsi dalle risate, se non ci fosse da disperarsi per la manipolazione e l’incredibile disonestà introdotta a forza nel dibattito da chi vede nella scuola, dopo la sanità, la nuova gallina dalle uova d’oro da smantellare e da spremere, a scapito dei ragazzini, e cerca pezze d’appoggio a questo progetto, per non doverlo dichiarare in maniera troppo esplicita.

Beh, in tutto questo, chi è in buona fede dovrebbe cominciare ad ascoltare gli insegnanti, che possono sbagliare ma sanno almeno di cosa parlano; chi è in malafede, dovrebbe subito togliere le mani dalla scuola.

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Da bambino non riuscivo a imparare le tabelline. Mi ricordo che a un certo punto mio padre mi ha portato per tre pomeriggi consecutivi ai Castelli romani e per ore interminabili, togliendo sicuramente tempo a uno dei lavori che faceva per mantenere la famiglia, mentre passeggiavamo nel bosco, mi ha fatto ripetere i numeri “a salti” per migliaia di volte. Ho imparato le tabelline e non le ho dimenticate mai più. Qualche anno dopo, alle scuole medie, è successa la stessa cosa con il canto di Ulisse, che dovevo imparare integralmente a memoria. E, ancora oggi, “lo maggior corno de la fiamma antica…”, “quando mi dipartii da Circe…”, “né ‘l debito amor che dovea Penelopé far lieta…”.

Beninteso, questi lavori di memorizzazione erano relativamente rari: la nostra maestra delle elementari, Annamaria De Longis, era una giovane meravigliosa idealista mandata a lavorare in pieni anni ’70 nella periferia più che estrema della borgata di Trigoria, a quindici chilometri di nulla da Roma. Della professoressa di Lettere delle scuole medie, la “terribile” professoressa Boffa che ci chiamava alla cattedra per le interrogazioni con la formula dantesca “qui si parrà la tua nobilitate”, ricordo sempre il sorriso ironico e la frase che mi disse quando in classe parlavamo delle paure legate a una possibile fine del mondo in un 2000 ancora lontanissimo: “Io sarò morta da tempo, ma tu che sarai già laureato riderai di tutte queste superstizioni e mentre brinderai all’anno nuovo magari penserai per un momento alla tua vecchia professoressa”. Così è stato.

Penso che gli studenti non siano spaventati come si vuol far credere dalle discipline (che sono difficili, sì, ma come tutto ciò che ancora non si conosce) o dai voti; penso invece che siano terrorizzati dall’assenza o peggio dall’indifferenza degli adulti. Adulti che oggi (purtroppo anche tra quelli che si occupano di scuola, a tutto danno della scuola), concentrati sulla domanda “cosa ci guadagno con il PNRR?”, hanno sempre meno voglia di dedicare davvero il loro tempo a bambini e adolescenti.

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Un brevissima riflessione dopo l’incontro del nostro gruppo con il dottor Alessandro Zammarelli (psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista della Società italiana di psicoanalisi relazionale)

Ora, nella greppia del PNRR, arrivano addirittura corsi per “allenare l’empatia”, in una tecnicizzazione/standardizzazione che punta a mettere sotto controllo gli stessi rapporti umani. In realtà basta che gli insegnanti diventino un punto di riferimento per le persone in crescita – invece che facilitatori anonimi in “ambienti di apprendimento innovativi”, burocrati/esecutori del didattichese astratto delle competenze o “orientatori” abusivi – perché ci sia educazione affettiva attraverso la relazione e il lavoro comune su contenuti culturali connotati anche emotivamente. L’affettività non si insegna, si vive
(su “orientamento” e dintorni cfr.https://laletteraturaenoi.it/2023/10/09/lorientamento-nella-scuola-delle-competenze/).

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