La nuova scuola capitalista

È stata appena tradotta in italiano la ricchissima ricerca a più mani (Laval, Vergne, Clément, Dreux) La nuova scuola capitalista; vi si fa riferimento soprattutto alla realtà francese ma crediamo sia impossibile non leggervi una descrizione di eccezionale chiarezza di ciò che sta avvenendo anche nelle nostre scuole, dall’imposizione di un apparato concettuale economicistico nel campo dell’educazione all’ideologia delle “competenze”, dalla teoria del “capitale umano” alla mercificazione dell’istruzione, dalla dequalificazione del lavoro e dalle mistificazioni su mismatching e “professionalizzazione” (che non ha niente a che fare con la vera preparazione professionale – ricordiamo lo smantellamento, anche nel nostro Paese, dell’istruzione tecnica e professionale – ma mira all’imposizione di “soft skills” adattive e di ubbidienza), alla vera natura e agli scopi di “riforme” che seguono ovunque lo stesso disegno.

I primi esempi qui riportati mostrano le conseguenze della ghettizzazione scolastica: al contrario di quanto vuol far credere certa propaganda neoliberista, la concorrenza tra scuole, favorita dall’abolizione dei distretti, dalla possibilità di decidere senza vincoli in quali scuole anche lontane dal territorio iscrivere i propri figli e dalle “classifiche” dei migliori istituti (quelle che in Italia sono in mano alla Fondazione Agnelli), che alimentano un’innaturale concorrenza tra servizi pubblici, producono un netto peggioramento complessivo dell’istruzione pubblica. Mentre nelle scuole frequentate da una popolazione eterogenea dal punto di vista socio-economico infatti si impara e si cresce normalmente insieme, la separazione classista dovuta alla scelta pilotata delle famiglie verso i “migliori” istituti, accanto a poche scuole “di eccellenza” (anch’esse a loro modo ghetti) crea un proliferare di realtà in cui vengono confinati coloro che sono destinati alla riproduzione dell’esclusione e delle marginalizzazione sociale, con gli effetti che vengono qui descritti.

Nell’ultimo brano riportato, si mostra la dannosità, proprio per le classi sociali più svantaggiate, di un’ideologia para-progressista della “descolarizzazione”, del tutto anacronistica a fronte di una realtà già fin troppo descolarizzata.


«Alcune classi nelle scuole secondarie di primo e secondo grado sono a volte paralizzate da una norma collettiva deviante rispetto a cui gli insegnanti sono preparati male e spesso sostenuti poco dall’amministrazione con il pretesto che la scuola pubblica “deve accogliere tutti” (Bacqué e Sintomer 2001). A volte succede che la situazione in cui si trovano gli “esclusi interni” li induca a voler imporre una norma di condotta a-scolastica o anti-scolastica agli altri studenti spingendoli ad abbandonare ogni sforzo. Poiché i ragazzi dei ceti medi o superiori hanno da tempo abbandonato questo tipo di scuole, di indirizzi o di classi, le principali vittime della devianza sono i ragazzi di estrazione popolare, che perdono così ogni opportunità di riscatto sociale. Il peso crescente del gruppo dei pari nella socializzazione degli adolescenti, questa sorta di “tirannia della maggioranza” (Pasquier 2005) che si impone a ognuno, è diventato uno degli elementi chiave nella neutralizzazione dell’effetto positivo dell’istituzione educativa sui percorsi scolastici e i destini sociali dei ragazzi degli ambienti popolari, mentre al contrario “crescere tra pari a scuola” aumenta le opportunità dei ragazzi più dotati culturalmente (Felouzis e Perroton 2009).

Le contraddizioni della segregazione hanno un impatto diretto sull’insegnamento. Malgrado gli investimenti psicologicamente stressanti da parte di insegnanti sempre più a rischio di burnout i contenuti didattici e l’impegno cognitivo degli allievi sono spesso molto inadeguati. Anche se non tutte le scuole popolari si trovano in queste situazioni estreme, i problemi di disciplina, di calma e di attenzione sono diventati così pervasivi in molte di esse che sono arrivati ad assorbire energie, tempo e risorse a scapito del vero apprendimento culturale.

[…] L’omogeneità sociale che risulta da tutti i processi di segregazione non solo impedisce ai ragazzi di estrazione popolare di immaginare percorsi sociali diversi da quelli a cui sembrano destinati dal loro aspetto e dal nome che portano, ma li condanna per questa stessa ragione anche a comportamenti in contrasto con il resto della società, a condotte “incivili” o addirittura illegali, che li stigmatizzano sempre più agli occhi degli altri intrappolandoli in un circolo vizioso di esclusione e devianza. Questi meccanismi, basati sull’identità negativa dell’escluso, rischiano di portare alla creazione sempre
più consolidata di “comunità” e alla crescente etnicizzazione residenziale e scolastica.

[…] Va da sé che il rifiuto falsamente radicale della norma culturale si risolve nel lasciar funzionare spontaneamente le differenze sociali e nel far sì che la “selezione scolastica” si fondi ancora più direttamente sull’origine sociale. Mentre la denuncia del carattere cieco, in quanto implicito, della selezione sociale attraverso le collusioni tra cultura della famiglia e la cultura della scuola avrebbe potuto avere delle conseguenze democratiche, l’accusa che la formazione intellettuale sia intrinsecamente borghese o “riproduttiva” rovescia il senso della critica e la trasforma in un alibi per rinunciare a educare i figli delle classi svantaggiate.

L’uso relativistico della sociologia, che è la continuazione di alcune derive a favore della descolarizzazione degli anni Settanta, è spesso usato contro i docenti, che sono accusati di intellettualismo, di essere distanti dalla “vita reale” e dalla “vita vera” dei quartieri e delle città dei loro studenti. Ma c’è un’altra tentazione, forse ancora più disperata, che è quella di “securizzare” le scuole moltiplicando i dispositivi di sorveglianza, alzando i muri delle scuole e aumentando le misure punitive per genitori e alunni. La destra conservatrice eccelle in quest’altro modo di trattare gli “esclusi interni”. Sistemi computerizzati e legali per controllare e sanzionare l’assenteismo, presenza della polizia nelle scuole e sistemi di videosorveglianza sono le principali risposte all’anomia nelle cosiddette scuole “difficili” o “a rischio”. Corriamo il rischio di accontentarci di una scuola che insegna meno ma sorveglia e punisce di più».

Laval, Vergne, Clément, Dreux, La nuova scuola capitalista, Napoli, Suor Orsola Benincasa Università editrice, 2025, pp.182-183 e 189

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