
C’è un racconto di Gianrico Carofiglio, nel suo libro Passeggeri notturni, che è particolarmente interessante. Si intitola “Contagio” e ripercorre in breve la storia di Jerry Sternin, che nel 1990 fu inviato di Save the Children con il compito di tentare di risolvere il terribile problema della malnutrizione infantile in Vietnam. La situazione che Sternin si trova di fronte è apparentemente priva di ogni speranza: ha solo sei mesi di tempo per fare qualcosa (tanto dura il visto che le autorità vietnamite gli hanno concesso), nel breve giro dei quali non può certo risolvere problemi immensi come quello della povertà del Paese in cui si trova a operare. Cosa fa? Invece di puntare a un’impossibile riparazione di ciò che non va, la cui grandezza è al di fuori della sua portata, cerca di capire cos’è che invece va: si interroga sul fatto che alcuni bambini, pur poveri come gli altri, non erano però malnutriti, e scopre che alcune abitudini alimentari – una distribuzione diversa del numero dei pasti, l’avere a disposizione dei cibi facilmente reperibili che si credeva fossero adatti soltanto agli adulti – li avevano salvati e fatti crescere in buona salute. A questo punto Sternin chiede che istruzioni su questo tipo di abitudini alimentari vengano diffuse a tutte le famiglie povere del Paese, e in questo modo salva dalla malnutrizione e dalla morte per fame migliaia di bambini. Il senso della storia è che quando si hanno di fronte problemi troppo grandi, bisogna cambiare strada: invece di scontrarcisi frontalmente, per poi abbandonarsi alla disperazione, bisogna togliere loro spazio, puntando su ciò che funziona e facendolo crescere.
Ecco, il senso di questa storia – mutatis mutandis – potrebbe benissimo applicarsi alla realtà scolastica dei nostri giorni. L’elenco di ciò che non va potrebbe essere infinito; mi soffermo solo su alcuni punti, in ordine sparso: 1) C’è da almeno trent’anni una spinta antidemocratica, da parte del ‘pensiero’ neo-liberista, a trasformare l’istruzione per tutti e l’educazione in addestramento o direttamente in nulla; 2) Questa spinta si è incarnata nel nostro Paese in una serie di ‘riforme’, a cominciare da quella che ha introdotto la sciagurata ‘autonomia scolastica’ per finire (per ora) con la devastante ‘Buona scuola’ – sostenute via via da tutti gli schieramenti politici – volte a smantellare la capacità della scuola di insegnare, di trasmettere contenuti culturali, di educare, di far crescere, di arricchire umanamente; 3) Poiché questo fine non si poteva perseguire in maniera troppo diretta, alla sostanza educativa e culturale, incentrata sul valore della conoscenza, si è sostituito un complesso sistema nomenclatorio/classificatorio e finto specialistico – diciamo burocratese e didattichese, incentrato sulla retorica delle ‘competenze’ – al cui fondo c’è in realtà il vuoto; 4) Gli insegnanti, coerentemente con questo disegno, vengono spinti sempre di più verso mansioni burocratiche e impiegatizie; vengono seppelliti da valanghe di inutili incombenze e adempimenti burocratici finché sia loro impedito anche solo di pensare al senso di ciò che fanno: da intellettuali ed educatori diventano gli esecutori passivi e rassegnati di decisioni prese altrove, da una burocrazia ministeriale che recepisce non di rado le ‘proposte’ di fondazioni e associazioni private che perseguono, appunto, fini molto privati che nulla hanno a che fare col bene comune; 5) A una parte significativa della classe docente questa situazione – la squalifica dell’insegnante a generico impiegato di concetto – sembra non dispiacere poi troppo. Com’è possibile? Purtroppo la scuola, per una serie complessa di ragioni, è stata per anni anche un ammortizzatore sociale, nel quale le assunzioni non hanno sempre avuto alla base motivazione, preparazione e talento specifici per fare questo lavoro; né chi si è proposto per farlo era spinto sempre da una grande convinzione. Anche per questo la classe docente non è compatta nel rivendicare con forza la necessità di una scuola di sostanza, dove semplicemente si insegni e si impari; meno che mai è compatta nel pretendere modalità di reclutamento giuste e culturalmente motivate; 6) La pervasività delle ‘nuove tecnologie’ e dell’iperconnessione, fruite sempre più passivamente, ha sottratto una parte consistente della passione culturale non solo agli studenti, ma anche agli insegnanti. Ciò che era impensabile solo qualche tempo fa – cioè che degli insegnanti non prendessero mai un libro in mano, non avessero mai il tempo e la voglia di leggere e studiare, per un indispensabile e continuo aggiornamento sui contenuti culturali, per mantenersi culturalmente vivi e trasferire questa vitalità intellettuale agli studenti – sta diventando in alcuni casi la norma. L’istituzione, d’altra parte, spinge ad ‘aggiornamenti’ – e si prepara ad imporli – basati sui peggiori luoghi comuni del didattichese e della metodofilia più astratta, ripetuti in modo sempre più conformistico e pappagallesco, e privi di qualunque valore culturale. Sembra che i social da una parte e le chiacchiere vuote del didattichese dall’altra siano destinati a sostituire i libri; i risultati, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti; 7) Coerentemente con questa situazione, in cui agli insegnanti non viene chiesto di insegnare loro le parole ma di “avere le carte a posto”, le nuove generazioni stanno rapidamente regredendo a una situazione di vero e proprio analfabetismo; 8) La scuole stanno diventando sempre più delle para-aziende, orientate dai dirigenti (salvo quelli che si sentono ancora Presidi, cioè responsabili della crescita umana e culturale degli studenti) a una finta efficienza burocratico-procedurale fine a se stessa che non conserva nulla delle sue indispensabili finalità educative; 9) L’ “occasione” rappresentata dalla pandemia ha fatto diventare la scuola terra di conquista delle multinazionali dell’informatica, togliendole ogni specificità e ogni possibilità di rappresentare un’alternativa di pensiero e di elaborazione critica dell’esistente. Dopo qualche tentativo in tal senso a marzo, si cerca ora con una sottile, ricattatoria (chi non è d’accordo sarebbe ‘vecchio’) e più costante opera di persuasione di far passare l’idea assurda che la ‘Dad’ non sia una pratica emergenziale adottabile per brevissimi periodi ma scuola, cioè che si possa far scuola in assenza di rapporto, denegando, svalutando e banalizzando il legame inscindibile che c’è per le persone in crescita tra apprendimento e relazione; e molti sembrano crederci, o vogliono crederci, come se non sapessero che l’insegnamento passa attraverso le innumerevoli e continue interazioni verbali e non verbali che solo la presenza e il contatto diretto possono garantire. In questa visione, la scuola cessa di essere un luogo fisico di incontro tra studenti e adulti e diventa – tra l’entusiasmo dei promoter informatici che lavorano più per le multinazionali che per la scuola stessa – “ambiente di apprendimento digitale”, il funzionamento del quale e gli stessi metodi di insegnamento non sono più nelle mani degli insegnanti ma in quelle delle grandi aziende, in un orizzonte distopicamente totalitario e anti-umano. Tra l’altro si finge di ignorare che anche per poter acquisire le cosiddette ‘competenze digitali’, gli studenti devono essere prima di tutto alfabetizzati; 10) D’altra parte, la libertà dell’insegnamento – che dovrebbe essere tutelata dalla nostra Costituzione – era già stata colpita a morte dall’imposizione del conformismo idiota del didattichese, della ‘certificazione delle competenze’ e simili, sempre più flatus vocis funzionale a non dare nulla di sostanziale agli studenti in termini di conoscenza e a fabbricare una società di sottoposti/consumatori ignoranti, un progetto classista, antidemocratico e anticostituzionale, che rovescia l’auspicio di Calamandrei, per il quale la Scuola è un “organo costituzionale della democrazia”, l’unico in grado di trasformare i sudditi in cittadini; 11) Ci sono famiglie che sabotano l’azione educativa e che con la loro querulomania stimolano l’ossessione burocratica dei dirigenti; c’è il senso di disfatta – da Montagna Bianca – dopo la lotta persa contro la “Buona scuola”; c’è soprattutto il terrore del covid che ha preso più o meno giustificatamente alla gola molti insegnanti e li rende disponibili a ogni compromesso…
Potrei continuare molto a lungo ma mi fermo qui, penso di aver reso l’idea: abbiamo di fronte un inferno, un mostro multiforme e inafferrabile, di cui non si riescono nemmeno più a circoscrivere la grandezza e la complessità, tanti sono gli elementi di cui è composto e che si rafforzano a vicenda: l’ignoranza, la volontà di smantellamento della scuola, gli interessi economici (non quelli della comunità, ovviamente, ma quelli di pochi), l’opportunismo, la rassegnazione, il totale disinteresse nei confronti dei giovanissimi e del futuro, la mancanza di motivazione e passione educativa, la paura.
Cosa si può fare di fronte a questa realtà terribile? Applicando il metodo Sternin, bisognerebbe pensare intanto a far crescere ciò che funziona, liberandosi dell’illusione di poter riparare immediatamente tutto ciò che non funziona. E cos’è che funziona, cosa c’è ancora di positivo nella scuola? Indico pochi punti altamente significativi: 1) Una parte consistente del corpo docente è costituita ancora da persone colte, preparate, che credono nella Scuola e tentano ogni giorno di fare del loro meglio per insegnare qualcosa ai propri studenti e aiutarli a crescere; 2) Si vuol far credere, specie in questo periodo, che i genitori considerino la scuola solo come un parcheggio – e lo si fa per scongiurare il pericolo di un’alleanza tra famiglie e insegnanti. Invece molti genitori tengono davvero all’istruzione, all’educazione e al futuro dei propri figli e sono molto preoccupati di ciò che sta accadendo; 3) Non c’è nessuna forza – nemmeno l’ipnosi dell’iperconnessione a cui vengono sottoposti – capace di spegnere del tutto nei bambini e negli adolescenti la curiosità, il gusto della scoperta, l’amore per le storie, il bisogno di dare un senso alla propria esperienza e di essere guidati da adulti autorevoli e affettuosi.
Ecco, le forze sane che tengono alla scuola e al futuro dell’istruzione dovrebbero fare gruppo, incoraggiarsi a vicenda e far crescere pratiche educative che scavalchino il conformismo e la burocrazia; occorre che i tanti insegnanti che sono stanchi del non-insegnamento a cui sono costretti si diano forza, incoraggiamento e fiducia a vicenda, in alleanza con genitori e studenti; occorre che inizino un boicottaggio della scuola-azienda attraverso l’autorevolezza culturale, la bravura, la passione, i NO giusti e motivati, il rifiuto di ciò che non attiene ai propri compiti educativi e di ciò che toglie tempo, attenzione e valore all’insegnamento; bisogna pretendere che i sindacati della scuola facciano il proprio dovere – difendere la scuola e tutelare il lavoro degli insegnanti, mettere finalmente in discussione in progetto fallimentare e finto aziendalistico dell’ ‘autonomia’ – punendo quelli che non lo fanno attraverso l’immediata disdetta sindacale; bisogna coinvolgere nella protesta e nella proposta i mezzi d’informazione, per far sapere a tutti quello che sta accadendo alla scuola. Occorre inoltre sostenere il movimento che chiede la riapertura di tutti gli istituti – importante soprattutto dal punto di vista simbolico – con senso critico e realismo: non negando cioè la gravità della pandemia o chiedendo una riapertura in condizioni di finta normalità ma prevedendo un rientro graduale anche delle scuole superiori attraverso rimodulazioni dell’orario, dell’organizzazione e degli spazi, una didattica per piccoli gruppi, scaglionamenti per turni anche pomeridiani e norme d’emergenza che aumentino il livello di sicurezza dentro e fuori dagli istituti, avendo ben chiaro in mente che la presenza a scuola, il ‘corpo a corpo’ nella trasmissione dei contenuti culturali e la relazione educativa sono insostituibili e che tutti gli sforzi devono essere volti a preservarli e a rilanciarli.
Qualunque cosa si pensi delle idee di Don Milani, non dimentichiamo che quest’uomo è stato in grado di rivoluzionare l’idea della scuola a partire da UNA piccola realtà; qui noi abbiamo migliaia di scuole in cui accendere fuochi – con le parole e con l’esempio – e cominciare una nuova rivoluzione