Assalto alla scuola

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Poniamo, per ipotesi, che si voglia spingere fino in fondo lo smantellamento della scuola pubblica (cfr. lo splendido saggio di Mauro Boarelli, Contro l’ideologia del merito, Bari-Roma, Laterza, 2019), su modello di quanto sta già accadendo nella Sanità. Poiché questa intenzione non può essere dichiarata esplicitamente, si cercano ragioni ideali con cui rivestirla e mascherarla; queste ragioni vengono trovate in un piccolo ma influente gruppo di attardata “innovazione didattica e pedagogica”, che partendo da istanze condivisibili come quella di stimolare processi di apprendimento più attivi ed esperienziali degli studenti, arriva a una visione settaria e fanatica di una scuola in cui diventa una grave colpa il fatto che l’insegnante spieghi o addirittura insegni qualcosa ai propri studenti. Il totalitarismo metodologico di questa setta svuota di importanza i contenuti culturali e il sapere e trova punti di incontro con la visione tecno-burocratica delle “competenze”, un fumoso “saper fare” che scivola presto in un’ottica produttivistica ed economicistica (“stimolare l’imprenditorialità”, le competenze del “capitale umano”) o nella formulazione paradossale delle “competenze non cognitive” (“adattabilità”, “affidabilità”, “saper essere”, “prendere decisioni” e “risolvere problemi”: non si capisce come, senza avere “cognizioni” e conoscenze). Con questa definizione insensata – “competenze non cognitive” – si punta in realtà a ridurre una scuola che dovrebbe essere educazione attraverso l’istruzione e la conoscenza (unica educazione possibile degna di questo nome) ad addestramento, attraverso la sottrazione programmatica del pensiero, dell’elaborazione mentale, di contenuti culturali sui quali gli studenti, guidati dagli insognanti, possano esercitare la propria intelligenza e il proprio senso critico.
Una volta che si sarà fatta passare l’idea che la scuola migliore è quella che non insegna niente, dimostrarne l’inutilità e spazzarla via sarà un gioco da ragazzi. E l’intergruppo parlamentare per la “sussidiarietà” (quello ha presentato il disegno di legge per le “competenze non cognitive” [cfr. anche https://www.micromega.net/chi-detta-legge-nella-scuola-italiana/. Non dimentichiamo che ora la Fondazione San Paolo è anche grande sponsor del passaggio dall’istruzione all’ “orientamento”]), chissà, potrebbe aver raggiunto un importante scopo. Nella stessa direzione, ovviamente, va l’insistenza sulla “sperimentazione” della quadriennalizzazione delle scuole superiori e l’intenzione di ridurre l’istruzione a formazione professionale sempre più precoce.

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Fa impressione vedere una consorteria di iper-liberisti e pseudo-progressisti con una lunghissima consuetudine col potere – burocrati, consulenti, portaborse, dirigenti carrieristi ed “esperti” che non hanno idea di cosa sia l’insegnamento, economisti pd-confindustriali, lobby padronali che citano Don Milani, buro-pedagogisti che non mettono piede in una classe da trent’anni – convinti di incarnare il “nuovo”, l’ “innovazione didattica”, convinti di sapere meglio degli insegnanti – che vivono tutti i giorni il rapporto con gli studenti – di che cosa gli studenti e gli insegnanti DEBBANO aver bisogno. Bisognerebbe far sapere all’opinione pubblica che quando le “riforme” sono fatte sulla testa di chi nella scuola ci lavora e da chi di scuola non capisce nulla, il vero obiettivo non può che essere il suo smantellamento, a favore di ‘esperti’, aziende, enti ‘formatori’, che tutto hanno a cuore tranne la crescita umana e culturale delle nuove generazioni.

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Con la finzione del “mettere gli studenti al centro” (cosa che gli insegnanti capaci hanno sempre fatto, senza doverlo ripetere ad ogni momento), si sostituiscono i saperi, le discipline, le storie, le idee, le conoscenze, con metodologie e procedure astratte e burocratizzate che, a differenza dei contenuti culturali, non hanno nulla da dire agli studenti, nulla su cui essi possano misurare la propria intelligenza, mobilitare il proprio mondo affettivo, far crescere la propria umanità; in nome di formule pappagallesche e vuote – “personalizzazione degli apprendimenti”, “saper essere”… – si cancellano gli individui in carne e ossa. Non si parla più di metodi per condividere contenuti e saperi importanti, con l’indispensabile progressività e i tempi lunghi necessari alla crescita umana e culturale (l’apprendimento stesso ha una sua storia, intrecciata con quella personale, più simile a quella di un organismo vivente che a un montaggio astratto e interamente prevedibile a priori di “competenze”); il rapporto tra il “come” e il “che cosa” viene reciso e le ‘metodologie’ fluttuano nel vuoto, e servono solo a confermare se stesse. Sembra che si punti a sostituire la passione per la conoscenza e per la scoperta culturale, l’unica che possa incuriosire e motivare i ragazzini, con l’ ‘erotizzazione’ dei mezzi, delle procedure burocratiche e delle metodologie. Inutile dire – ogni insegnante lo sa – che senza un lavoro comune e appassionato sulle conoscenze e sui contenuti culturali viene meno anche la relazione educativa, il rapporto umano, quello cioè che è il vero cuore della vita scolastica: le facce degli studenti non si distinguono più l’una dall’altra, i loro bisogni, le loro domande, le situazioni concrete, le riflessioni, le parole e ciò che gli insegnanti possono davvero dare loro non contano più niente. C’è solo l’idolatria astratta e fanatica dei “mezzi”, ovviamente sempre più digitali, e tutto diventa ‘adempimento’. Altro che studenti al centro.

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Il racconto raccapricciante di una collega che ha appena frequentato un corso di formazione, di quelli in cui si dice che non bisogna assolutamente più parlare di conoscenze, di studio, di discipline, di libri, nemmeno di metodi, ma solo di competenze, percorsi, metodologie, flipped classroom, cooperative learning, didattica digitale, senza nessun collegamento con la concreta situazione didattica e relazionale in cui ci si trova e con i contenuti culturali (espressione vietatissima in questi contesti) che si vogliono proporre, gli unici che danno sostanza all’istruzione.
Questo scambio tra mezzi e fini ovviamente non ha nulla a vedere con l’autentica formazione, che dovrebbe essere sostanziata di cultura ed esperienza e dovrebbe semmai aiutare gli insegnanti a trovare ogni giorno le parole giuste da usare con i propri studenti, a rapportarsi con loro, a comprenderli meglio, ad avere mondi sensati di conoscenza da aprire per loro e con loro, a riflettere sulle strategie didattiche adeguate alla specificità della disciplina insegnata e del gruppo classe. Quello di cui si parla in certi corsi di ‘formazione’ – come se l’insegnante stesso, qualunque sia la sua cultura ed esperienza, fosse sempre una tabula rasa da ‘riaddestrare’ – è solo indottrinamento da parte di chi non sa nemmeno come è fatta una classe, e forse non sa nulla tout court, a parte dieci formule in pedo-didattichese, e vuole ridurre tutti al livello della propria ignoranza, funzionale a togliere di mezzo, pezzo a pezzo, il fastidio di una scuola pubblica della conoscenza ancora (per quanto?) garantita dalla Costituzione.

15 pensieri riguardo “Assalto alla scuola

  1. Condivido completamente le vostre riflessioni. Lo svilimento della cultura e della lezione, a favore di pseudo didattiche scimiottate dal mondo aziendale con il suo gergo efficientista, mi preoccupano moltissimo.

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  2. gli alunni considerati come pezzi di ricambio, non come persone, perciò intercambiabili a seconda delle necessità dell’apparato produttivo . . . . .lo scopo è creare zombi, non uomini e donne pensanti, consapevoli, critici, ribelli, e perché no “anarchici”, rispetto ai desiderata dei c.d. migliori, SCUOLA PUBBLICA!!!

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  3. Assolutamente d’accordo…non vedo l’ora di andare in pensione, perché temo non sia facile smontare questa accozzaglia di teorie e indottrinamenti..e intanto i nostri allievi sono sempre più ignoranti

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  4. io ho lavorato nella scuola superiore x 16 anni ed ero addetta anche alla sorveglianza passiva,durante la quale ero desiderosa di far parte di una classe dalla 3° alla 5°,per avere il bagaglio che la maggior parte degli insegnanti donava agli allievi,in compenso ho letto abbastanza.Comunque io vedo bene la bidella(mansione che svolgevo)con le sue 4 o 5 classi con le quali interagiva,lo fa con gli allievi,insegnanti, tecnici dirigenza,genitori e altri ruoli lavorativi presenti durante gli esami,gli impiegati/e.

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  5. Concordo pienamente su quanto scritto e nel leggere i vostri manifesti sento un fermento rivoluzionario misto a rabbia e indignazione per ciò che ci stanno costringendo a fare: sfornare una massa di ignoranti che, oltretutto, non sa e non saprà come affrontare la vita… Siamo costretti a sostenere una scuola che non è degna di essere chiamata tale, poiché non insegna più niente e non è più una palestra di vita, ma solo un parcheggio per genitori disperati che non sanno dove lasciare i propri figli! E la cosa più triste è che negli occhi delle mie colleghe non vedo la voglia di cambiare qualcosa, ma solo amarezza e rassegnazione. Spero tanto che, presto, qualcuno dalle reali intenzioni buone, faccia qualcosa per smuovere gli animi e ridare alla scuola la dignità che merita.

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    1. Ciao Luca, ho condiviso il Manifesto e sono entrata a far parte del gruppo facebook ma non sono una fan dei social e quindi “perdo molti pezzi”. Mi piacerebbe che oltre a parlare tra noi provassimo a fraci sentire per provare a fermare questo assalto alla nostra Scuola (PCTO, competenze non cognitive, demonizzazione dei contenuti…). Sarebbe possibile? Invitare tutti a non svolgere la FS per PCTO per esempio? O scrivere una lettera da far girare in tutte le scuole perchè sia firmata, contro il PCTO, il Curriculum dello studente, le competenze non cognitive, la sostituzione dei contenuti con l’aria fritta… ?

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