Il voto e la responsabilità degli insegnanti

Durante un incontro del gruppo psicologico della nostra associazione con il dottor Alessandro Zammarelli*, è emersa l’idea che la battaglia per l’abolizione dei voti, portata avanti soprattutto dall’esterno della scuola, si agganci a una questione che effettivamente esiste e di cui molti tra noi insegnanti soffrono. Si potrebbe sintetizzare così: come faccio a essere l’adulto che entra in una relazione anche affettiva con gli studenti, che li ascolta, che si offre come punto di riferimento, che scherza con loro e chiede loro di fidarsi e di affidarsi, e contemporaneamente a pormi nella posizione giudicante di chi valuta la qualità del loro lavoro e della loro preparazione? La questione, ogni persona di buon senso lo capisce da sé, non cambia affatto se i voti anziché in itinere vengono assegnati soltanto a fine percorso: anzi, l’assegnazione di un unico voto finale, separando ancora di più la relazione educativa quotidiana dalla valutazione quantitativa, scinde ulteriormente la figura dell’insegnante da quella del valutatore inappellabile, che si manifesta improvvisamente solo quando non è più possibile cambiare le cose.

Di fronte a una difficoltà che esiste, la soluzione semplicistica, che come ogni semplificazione trascura innumerevoli conseguenze dei propri assunti, è quella dell’ “allora aboliamo i voti”, magari sostituendoli con la cosiddetta certificazione delle competenze (su cui qui direi solo che si tratta di una forma di valutazione molto piu intrusiva del voto, visto che – entrando abusivamente anche in questioni di personalità – corrisponde a una schedatura rigida di esseri umani in piena formazione ed evoluzione). Inutile aggungere che evitare agli insegnanti la fatica emotiva e la responsabilità di assegnare voti non evita agli studenti il fatto di essere comunque valutati numericamente o per “livelli” da soggetti esterni alla scuola (oggi INVALSI e domani, chissà, magari i rappresentanti delle aziende all’interno degli ITS).

Probabilmente la strada da seguire per superare l’apparente dualismo relazione/valutazione è un’altra: ribadire qual è l’autentica funzione del voto, la restituzione cioè agli studenti di un’indicazione chiara sul lavoro svolto e su quello da svolgere, a riempire di senso una valutazione numerica o comunque sintetica necessaria al mantenimento del valore legale del titolo di studio. Perché vi sia una sensatezza del voto, e perché l’insegnante non diventi o non si senta un “giudice”, è fondamentale – come il dottor Zammarelli ha ricordato più volte – che chi lo riceve possa comprenderne le motivazioni; il che significa che non può esistere un voto utile che non sia accompagnato da una spiegazione personalizzata, all’interno della relazione educativa.

È in questo modo che affetto e valutazione da parte dell’insegnante possono coincidere: dire a uno studente, con il dovuto tatto pedagogico e l’indispensabile gradualità ma anche con chiarezza, “guarda che questa cosa non la sai (oppure la sai molto bene), la devi imparare”, “guarda che ti devi impegnare di più” ecc., può significare volergli bene, volere il suo bene; ed è anche una forma di rispetto e di fiducia nel fatto che possa e debba sapere come stanno le cose, senza fanatismi docimologici (nel “calcolo” del voto dovrebbero essere compresi la delicatezza dovuta all’età e l’incoraggiamento) ma anche senza infingimenti sull’effettiva preparazione. È una continua ricerca dell’equilibrio tra comprensione e chiarezza nelle richieste, che tenga conto di ciò che lo studente può o non può dare; e infatti l’insegnamento è un’arte difficile, che tiene insieme molte cose e a cui non giovano per nulla le ricette semplicistiche.

*Gli incontri con il dottor Zammarelli, psicologo, psicoterapeuta e psicoanalista SIPre (Società Italiana di Psicoanalisi relazionale) hanno come obiettivo l’integrazione tra insegnamento e psicologia dell’età evolutiva e avvengono attraverso la discussione di casi o di tematiche particolarmente significative riguardanti l’esperienza scolastica e i vissuti di studenti e insegnanti

2 pensieri riguardo “Il voto e la responsabilità degli insegnanti

  1. La relazione educativa è e deve essere per sua natura asimmetrica e proprio in questa distanza si coglie la differenza tra il discente, con il suo compito di apprendere, ed il docente che con la sua missione professionale ha come obiettivo l’insegnamento didattico di una materia. In questa logica il voto non può non essere escluso e la componente relazionale, più o meno “affettiva”, diviene strumento importante per raggiungere buoni obiettivi per entrambe le parti in gioco. La relazione è quindi la via, il modo, il ponte che collega i due attori e i contenuti che essi vogliono passarsi, trasmettersi e affinchè essa sia funzionale, sana e coerente al contesto è necessario che conservi il suo carattere asimmetrico; in questa accezione il voto risulta essere sacrosanto e, se vogliamo, salvifico strumento di lavoro dell’insegnante. Perchè si deve porre la questione della relazione affettiva tra insegnate e alunni? La scuola non è il luogo dell’affettività, sicuramente scorrono flussi emotivi ed affettivi tra gli scolari e ci saranno particolari simpatie con alcuni insegnanti ma, non può proporsi come “ente affettivo” e promuovere a questo la relazione con il corpo docenti o i singoli maestri di scuola dell’infanzia o primaria. Ad ogni livello, per ogni età penso che sia un discorso sbagliato e pericoloso che rischia di confondere ancor di più questi profili professionali. L’insegnante può tranquillamente ascoltare, ridere e scherzare con i suoi bambini o ragazzi senza per questo porsi il problema della votazione che è aspetto chiave e specifico della sua posizione. Se la questione emerge forse il problema è del docente-insegnante che, fragile ed insicuro nel suo ruolo, avverte un disagio e una incongruenza che, in realtà, non hanno senso di esistere.

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