Una conoscenza artificiale?

L’Intelligenza Artificiale, in sé, potrebbe non essere un problema ma uno strumento utile e divertente. Il problema sta in un’idea preesistente all’AI, e che attraverso l’AI viene portata ulteriormente avanti: quella cioè per cui la conoscenza non è ciò che sta dentro l’essere umano ma ciò che sta fuori.

L’idea l’ha sintetizzata bene, in modo esplicito e piuttosto sconcertante, l’ex ministro Bianchi, quando ha detto che la scuola non deve dare più conoscenze perché tanto “ormai c’è internet” e le conoscenze (anzi, le “informazioni”) sono lì a nostra disposizione.

Ecco, il punto è proprio questo: scambiare il dentro con il fuori, ignorare che le conoscenze possono strutturarsi e diventare un mondo solo all’interno degli individui – con una stratificazione nel tempo di innumerevoli nozioni, idee, pensieri, relazioni, esperienze, emozioni, affetti, immagini, fantasie, che si collegano tra loro in modo imprevedibile e danno vita a configurazioni mentali sempre nuove, corrispondenti alla storia di ciascuno – ha delle conseguenze micidiali in campo educativo.

Avere chiaro che a contare e a essere fecondo per il futuro è ciò che l’essere umano sa, pensa e ha dentro di sé, porterà infatti gli insegnanti a curare l’arricchimento e la crescita umana e culturale dei propri studenti, a proporre un confronto continuo con il mondo del sapere e con storie, scoperte, pensieri, punti di vista sul mondo, a propiziare la conoscenza della realtà e di se stessi attraverso l’approccio a contenuti culturali significativi, anche nella loro dimensione sociale e storica. Se invece si pensa che le conoscenze siano fuori, fino addirittura ad auto-organizzarsi attraverso l’AI, divenendo in realtà rapporti matematici e forme prive di sostanza conoscitiva e affettiva, l’essere umano può anche rimanere vuoto e passivo (gli “hollow men” di eliotiana memoria?) e l’educazione può puntare a far sviluppare “competenze” minime di adattamento a una realtà data, che non è più nemmeno necessario conoscere.

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